Questa volta abbiamo scelto un articolo scritto da Don Francesco Michele Stabile, un sacerdote della Diocesi di Palermo, pubblicato dal "Giornale di Sicilia".

Un prete, gli amici, l'antimafia concreta

di Francesco Michele Stabile

1 febbraio 2002

Se qualcuno mostra coraggio quando si tratta di fare il proprio dovere di cittadino soprattutto di fronte alla organizzazione mafiosa, non si può lasciare solo. Dobbiamo prendere atto che - tra l'indifferenza da parte di tanti cittadini e anche di tanta parte delle istituzioni - ci sono ancora persone che non si arrendono, che non fanno finta che la mafia non sia più una tragedia per la nostra terra solo perchè‚ non ci sono più tanti morti ammazzati.
Ancora una volta Brancaccio rimane la terra della contraddizione che vede mafiosi alle sbarre e mafiosi nel territorio, ma anche uomini liberi che non abbassano la testa.
Il martirio di don Pino Puglisi, parroco di Brancaccio, accende ancora di coraggio. E sono proprio gli uomini che gli furono accanto e che in lui trovarono sostegno e motivazioni al loro impegno che hanno deciso di costituirsi parte civile e di testimoniare in tribunale sugli avvenimenti che portarono alla uccisione di padre Pino Puglisi. E' un atto di amore da parte loro per don Pino, è un atto dovuto come cittadini, ma assume anche un valore di protesta verso la società e le istituzioni che lasciano soli. Si tratta di antieroi che senza mezzi e senza potere affrontano l'ambiguo e sempre minaccioso potere della mafia.
Il Comitato intercondominiale di via Hazon a Brancaccio nacque in modo autonomo dalla parrocchia per affrontare i problemi del quartiere e sollecitare le autorità alla soluzione. Ma gli intoppi furono tanti. Quei pochi cittadini coraggiosi potevano scoraggiarsi, come avviene dalle nostre parti il più delle volte quando si ha la sensazione di lottare contro un muro di gomma. E ciò non avvenne perchè‚ incontrarono sulla loro strada il parroco Puglisi, attento e sollecito ai problemi religiosi innanzitutto, non disincarnati però dal tessuto sociale in cui la fede religiosa deve essere vissuta. Il territorio fu il luogo in cui la fede doveva misurare la sua autenticità, come d'altronde scrive S. Giovanni nella sua prima lettera, quando afferma che non si può amare Dio che non si vede se non si amano i fratelli che si vedono.
Un fede così non poteva non scontrarsi con chi deteneva il potere sul territorio e sulle coscienze della gente. Ma doveva anche necessariamente incontrarsi con chi vuole vivere la piena umanità nel rispetto del valore della vita e della dignità di ogni uomo che non può essere svenduta o eliminata per 30 denari o per capriccio di prepotenti mafiosi di quartiere.
La morte del prete Puglisi doveva essere solo l'eliminazione di uno scocciatore, di uno che rompeva, senza violenza ma in profondità, il giogo di umiliazioni e di soprusi nelle coscienze. E invece si è rivelata un pericolo più insidioso che ha scompaginato gli equilibri mafiosi del quartiere e non solo del quartiere.
Ne ha risentito il mondo ecclesiale che ha trovato parole inedite contro la mafia, anche se sul piano delle cose da fare non sempre ci sono l'attenzione che si dovrebbe e la percezione del nefasto influsso sulla vita religiosa della concezione mafiosa della vita.
Ne hanno risentito questi pochi uomini dell'Associazione Intercondominale che si sono uniti a chi da sempre ha lottato contro il potere mafioso e non solo nelle sfilate all'indomani delle morti eccellenti. Rimangono come le sentinelle avanzate e attente a ricordare il pericolo sempre incombente che nasce dalla peculiare realtà della mafia e dalla indifferenza - e anzi dall'insofferenza - da parte di tanti. Don Puglisi è rimasto per loro il riferimento sicuro e la forza per la loro impresa.
L'aver richiesto un riconoscimento ufficiale del martirio di don Pino Puglisi da parte della Chiesa non pare abbia avuto come effetto il relegarlo sulla nicchia lontano dall'uomo comune o il farne un innocuo santino di devozione. Puglisi non è un santo taumaturgo che fa miracoli da attirare le folle. La forza della sua presenza si manifesta ancora nel Centro Padre Nostro, nelle scelte di coraggio di questi suoi amici che si espongono per la verità e per la giustizia, nella nostra coscienza di uomini sensibili alle istanze degli oppressi di tutto il mondo.
Puglisi guarisce la coscienza per liberarla dall'apatia e dal disimpegno e spingerla al cambiamento radicale che parte dall'intreccio di nuovi rapporti umani e di nuove strutture sociali. E' questo il miracolo capace di far cambiare rotta alla nostra terra.