Giornale di Sicilia

19 gennaio 2003

A un passo dall'intesa con la curatela fallimentare: prezzo di base 500 mila €. Il giudice nomina un consulente per la perizia nei locali dove regna il degrado

Scantinati "scandalo" di via Hazon, il Comune è pronto per l'acquisto. 

Pagare un miliardo quello che ai tempi di padre Pino Puglisi non si volle comprare per tre : gli scantinati-scandalo di via Azolino Hazon. L'amministrazione  Cammarata è pronta a pagare circa 500.000 € il complesso degradato sul quale perse la battaglia il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia. E sul quale, pochi anni dopo l'omicidio, l'amministrazione Orlando disse un clamoroso stop antimafia: no ad un acquisto che avrebbe portato soldi nelle tasche dell'imprenditoria inquinata. Sul tavolo dell'assessore Lorenzo Ceraulo la proposta di acquisto del Comune: 410.000 €.   La curatela fallimentare sarebbe orientata a chiedere qualcosa in più, il giudice ha nominato un consulente tecnico del quale si attende una perizia, ma l'ipotesi di accordo non va oltre i 500.000 €.  Uno sconto del 60 per cento sul prezzo anni novanta, e la rinascita di uno scantinato che è andato in degrado con tutto il quartiere mentre la mafia e l'antimafia parlavano. "Avremo presto il via libera del giudice ma intanto tutto è pronto per portare il progetto di acquisto e ricollocazione in consiglio comunale": l'assessore alle infrastrutture Ceraulo assicura tempi brevi. "E in attesa del voto del consiglio chiederemo l'anticipata occupazione degli spazi: gli esterni diventeranno un parco auto della polizia municipale, nel resto sono previsti centri di aggregazione, servizi sociali e un presidio sanitario". Restano comunque le proposte avanzate dal Centro Padre Nostro in memoria di don Pino, e quelle quelle dell'Associazione Intercondominiale Brancaccio che vuole fare degli scantinati un centro di sviluppo economico legato alla promozione turistica del quartiere.  Degli scantinati si è parlato in aprile 2002 perchè venivano da via Hazon i due accoltellati a Borgo Vecchio, Vincenzo Chiovaro e Antonino Lupo, confermando la fama di loschi traffici nel complesso. Gli scantinati fanno parte del patrimonio di Giovanni Pilo, imprenditore le cui società sono fallite, implicato in vicende di mafia poi risoltesi e in passato gran venditore di case al Comune a colpi di miliardi: da Pilo l'amministrazione ha acquistato tutto il condominio che sta sopra gli scantinati e sempre da Pilo, per 17 miliardi, ha acquistato due immobili di via Eugenio l'Emiro. Nel '96 la marcia indietro di Leoluca Orlando, su istanza della "Consulta 3P".  Per Pino Martinez, dell'Associazione Intercondominiale, "i soldi non sarebbero mai andati e non vanno oggi in tasche poco chiare: gli scantinati sono in curatela fallimentare e gestisce tutto il tribunale".  

Delia Parrinello


Giornale di Sicilia

20 gennaio 2003

Professore universitario ospite a San Gaetano per una ricerca. "Un esempio di fede e coraggio".

Dalla Svezia a Brancaccio per studiare don Puglisi

Dalla Svezia fino a Brancaccio per una ricerca su don Giuseppe Puglisi. Kjell Norlin, docente di arabo ed ebraico all'università di Lund, nel sud della Svezia, è stato sabato e domenica a Palermo per completare il lavoro di documentazione sulla figura del sacerdote ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993. Obiettivo: un lungo articolo che verrà pubblicato su una rivista internazionale dei gesuiti svedesi. Il professor Norlin, cattolico, ha incontrato l'attuale parroco, don Mario Golesano, e ha assistito alla messa nella chiesa di San Gaetano, parlando poi con diversi collaboratori di don Puglisi, tra cui Pino Martinez e i componenti dell'Associazione Intercondominiale. Ha visitato la scuola media del quartiere, intitolata al sacerdote ucciso, e anche gli "scantinati-scandalo" di via Hazon che il comune sta cercando di acquistare dal curatore fallimentare. "Nel dicembre 2000 - spiega Norlin - ho passato una settimana di vacanze con mia moglie in Sicilia e sono stato colpito dall'isola,  non solo dalla sua bellezza,  ma dalla sua cultura, dalla  sua storia. Anche i lati neri, purtroppo, che sono visibili dappertutto. In Sicilia ho trovato presente quasi tutto ciò che ho studiato e che mi interessa. Ho studiato il greco classico, il latino, l'arabo, l'ebraico, il francese. Penso che tutti i fili si uniscono in Sicilia e probabilmente posso passare il resto della mia vita studiandola".  Da allora altre visite e un impegno intenso per apprendere la lingua italiana: "Non sono solo un romantico, - prosegue - Mi interessa anche la Sicilia di oggi e i suoi problemi sociali. Conosco, ad esempio, Danilo Dolci, che da tempo è apprezzato anche in Svezia".  Nella chiesa di San Gaetano, sotto la lapide che ricorda il sacerdote, Norlin ha firmato il "librone" degli ospiti e spiega così il suo lavoro: "Don Puglisi è un esempio di fede e di coraggio che vale in Italia come in Svezia. Io cercherò di farlo conoscere anche nel mio Paese".    

Francesco Deliziosi

 

Repubblica

3 marzo 2003

Quando  la mafia uccide un prete

Don Pino Puglisi  fu assassinato il 15 settembre del ' 93 mentre rincasava. Era il parroco di un quartiere dominato dai boss. Un libro ne narra ora la storia. In tre anni aveva fatto molto per opporsi all' abuso malavitoso ma era troppo solo e non accettava compromessi. Bianca Stancanelli ha ricostruito puntigliosamente la vicenda "per rabbia, per dolore per vergogna dell' accaduto".

Don Pino Puglisi morì il 15 settembre del 1993, il giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno. Gli spararono un colpo alla nuca, un colpo solo, in piazza Anita Garibaldi, ai bordi del quartiere palermitano di Brancaccio. Erano in quattro. Due aspettarono in macchina. Uno, spuntato alla sua sinistra, gli afferrò la borsa mentre lui infilava la chiave nel portone di alluminio anodizzato della sua casa, una palazzina popolare di pochi piani, con i balconcini e le verande, all' estremità della piazza a forma di semicerchio. Gli disse: «Padre questa è una rapina». L' altro, a destra, gli accostò al collo il tubo del silenziatore di una pistola 7,65 e in un istante durato quanto l' eternità vide don Pino che si voltava e che, allungando le labbra in un sorriso, sibilò: «Me l' aspettavo». Don Pino Puglisi comincia a morire tre anni prima, nel settembre del 1990, quando il cardinale di Palermo, Salvatore Pappalardo, gli assegna la guida della parrocchia di san Gaetano, nel cuore di un quartiere dove la mafia ha una consolidata gerarchia, quella dei fratelli Graviano, alleati dei corleonesi (con loro avrebbe avuto un legame, secondo la Procura di Palermo, anche Marcello Dell' Utri). Comincia a morire perché per le strade di Brancaccio cammina a testa alta e soprattutto insegna a camminare a testa alta, u na postura che in quel quartiere possono permettersi solo gli uomini di Cosa Nostra o chi tenta di scalare i gradini criminali cercando di scrollarsi il destino di privazioni e di indegnità che la nascita a Brancaccio gli ha appiccicato. E A testa alta. Don Giuseppe Puglisi storia di un eroe solitario (Einaudi, pagg. 157, euro 14: esce martedì) si intitola il libro scritto da Bianca Stancanelli, giornalista di Panorama, una biografia che alla ricchezza documentaria affianca l' ammirevole parzialità dell' atto civile, un libro confezionato, spiega l' autrice, «per rabbia, per dolore, per vergogna, per un desiderio impossibile di risarcimento». Don Pino viene ucciso quando la mafia di Brancaccio si accerta della sua solitudine. Una solitudine che avvolge il sacerdote proprio nel momento in cui le sue iniziative pastorali stanno lievitando. La sua parrocchia in questi tre anni è diventata un contropotere del contropotere mafioso. Il centro Padre Nostro che ha aperto ai bambini di Brancaccio st a insegnando loro che i diritti non sono favori e che una scuola media, un ambulatorio sociosanitario, un campo di calcio, un giardino, sono richieste per le quali conviene battersi al Consiglio di quartiere, all' Assessorato comunale e a quello regionale, e che se lo scantinato di un edificio viene invaso dai liquami e dai topi si può persino imboccare il portone della Procura della Repubblica e chiedere che si allaccino le fogne. Diritti e non favori: i primi esigono rispetto, i secondi si invocano ai boss, sottomettendosi e abbassando la testa. Ma la solitudine non è un impressione. Non tutta Brancaccio segue don Pino. Forse neanche la maggioranza. Dalla sua parte sono schierate le tre suore che gestiscono il centro Padre Nostro (era un rudere scalcinato: quando chiese di acquistarlo il prezzo dichiarato schizzò da 170 a 290 milioni e quando andò da un costruttore di Brancaccio, Gianni Ienna, sperando che lo ristrutturasse con pochi soldi, questi gli disse: «E lei in cambio che cosa mi dà», ottenendo sol o che don Pino si alzasse di scatto: «Non mi serve più niente»). Sono schierati i tre impiegati che vivono in un palazzone costruito negli anni Sessanta dai mafiosi e che hanno fondato il Comitato Intercondominiale. E poi il viceparroco Gregorio Porcaro, i giovani della Fuci e alcuni volontari, fra i quali Giuseppe Carini, un ragazzo di vent' anni al quale don Pino affida i bambini più piccoli perché giochino a pallone e perché imparino le regole, tutte le regole e non quella del più violento. La storia di Giuseppe Carini è esemplare. Studia medicina, è figlio di un onesto impiegato, ma per parte di madre è legato a una famiglia mafiosa. E lui li frequenta i boss, da loro è benvoluto e a Brancaccio cammina a testa alta. Un cugino di Giuseppe è un "uomo d' onore", al collo porta una catena d' oro con un crocifisso alto quanto il palmo di una mano. Gli occhi del Cristo sono due pietre preziose che brillano e incutono un terrore cieco. Don Pino sa chi è Giuseppe: ma il suo ministero consiste nello sconfiggere il peccato salvando il peccatore. Giuseppe si fa vedere in parrocchia sempre più spesso. La sua scelta di campo diventa netta. Ora cammina a testa alta con il parroco. (Giuseppe ha testimoniato al processo contro gli assassini di don Pino, è andato via da Palermo, rinnegato dalla famiglia. Ha vissuto sotto protezione e non è riuscito a fare il medico). Il lavoro di don Pino con Giuseppe è una spia che inquieta. Se il parroco trascina con sé ragazzi e bambini, dove si recluteranno le braccia per una consegna di droga? Chi andrà a sistemare l' ordigno sotto una saracinesca? Turba l' aspetto simbolico: don Pino acquista prestigio, oscura chi ne avrebbe il monopolio, ha un seguito che cresce vistosamente, il suo atteggiamento poco arrendevole mina il credito di chi sulla forza costruisce un dominio geloso. Quando si accorge che il prezzo del rudere si impenna, don Pino avrebbe dovuto rivolgersi a qualche scherano dei boss per chiedere di mediare. Questa è la prassi. Lui la conosce, ma fa per conto suo, manda u na lettera ai parrocchiani, va dal cardinale e si accolla un mutuo, scontandolo con lo stipendio di insegnante. Le spese sono consistenti. Don Pino potrebbe accedere ai finanziamenti della Regione: basta accettare che in parrocchia si distribuiscano volantini elettorali, oppure che si ripristini l' antica commedia delle estorsioni mascherate da colletta per la processione del santo, con i cantanti e i fuochi d' artificio. Lui preferisce vivere di stenti. Don Pino sa che l' apostolato non cambierà Brancaccio, Palermo, la Sicilia. Ma la fede gli impone di lasciare il segno, gli ingiunge la testimonianza. E lui, sorridendo, compie gesti. Dopo aver covato, lo scontro con i mafiosi esplode. A Brancaccio si festeggia con un raid in motocicletta prima la strage di Capaci, poi quella di via D' Amelio. Don Pino organizza una fiaccolata antimafia che sfila sotto casa dei Graviano e dirotta verso i vicoli luridi del quartiere la processione di Pasqua, evitando il peloso omaggio dei capimafia affacciati al balcone. Org anizza un convegno su Chiesa e mafia. Conosce le smanie dei boss per le feste di comunione nei ristoranti lungo il mare. E sposta le comunioni in inverno. Si rifiuta di accettare come padrini di battesimo uomini legati alle cosche. Don Pino è sempre in giro, instancabile. Testardo e mite. Ma le sue iniziative non sfondano. Qualche giornale ne parla, la Tv manda una troupe alla fiaccolata. Però il cuore della città non batte per questo quartiere derelitto, separato da una cortina. E nessuno pensa di assegnargli una scorta. Don Pino entra nel mirino, ne avverte i presagi, vi accenna. Potrebbe fermarsi alle pendici del Calvario, ma c' è una forza inesorabile che lo spinge a salire. A maggio salta in aria un furgone dell' impresa che sta ristrutturando la chiesa. Qualche tempo prima Benedetto Graviano ha avvicinato don Porcaro e lo ha avvertito che loro non gradiscono che Brancaccio venga diffamato dalle denunce del parroco. A giugno bruciano le porte di casa dei tre del Comitato Intercondominiale. Dal pulpito don Pino si scaglia contro chi usa la violenza e poi sparisce nel buio. «I mafiosi sono come le bestie», tuona, ma poi scioglie l' invettiva in un invito: le porte della chiesa sono aperte a tutti. Quell' estate del ' 93 esplodono bombe a Firenze e a Roma (i Graviano sono stati condannati all' ergastolo per strage). La mafia subisce colpi durissimi: alla Procura arriva Gian Carlo Caselli, vengono arrestati Totò Riina e tanti gregari. Palermo è presidiata dall' esercito. Ma nessuno protegge don Pino. La dinamica del suo martirio ha il retrogusto amaro del fortuito. Quella sera del 15 settembre i quattro assassini stanno solo perlustrando la zona, vogliono capire come e dove colpire: ma se lo vedono comparire dal nulla, inerme e candido. E a quel punto fanno fuoco. Fin qui il libro di Bianca Stancanelli, che riferisce quanto sia stata ingombrante, dopo la morte, la memoria del sacerdote, persino in certe zone della Chiesa palermitana. A dieci anni dal martirio di don Pino, in piazza Anita Garibaldi è sorto u n piccolo giardino, «un orto urbano», lo definisce Aldo Carano, l' architetto del Comune che l' ha progettato, «ricco di essenze semplici, ma profumate, come il rosmarino e l' alloro, e fregiato di rose gialle». Non voleva essere una commemorazione, «ma un piccolo gesto di riqualificazione urbana», molto simile a quelli compiuti dal parroco. Quando fu avviato il cantiere la gente che abitava lì intorno protestò, non voleva che gli togliessero il posteggio. Anche le cosche mostrarono di non gradire. Ma si andò avanti lo stesso. «Ora faremo un altro giardino», assicura Carano, che collaborò con Pier Luigi Cervellati al piano regolatore della città. «Aggiusteremo i marciapiedi e attrezzeremo anche un parcheggio». Il giardino è sormontato da due stele, opera di Marco Nereo Rotelli, dove sono iscritte una poesia di Mario Luzi e una frase di don Pino, «Se ognuno fa qualcosa». Rimase libero un pannello affinché ognuno vi scrivesse un pensiero, una specie di tazebao della memoria. Il giorno dell' inaugurazione c' er ano molte autorità e poca gente. Carano invitò tutti a lasciare due parole. Iniziò il cardinale. Quando venne il suo turno, il presidente della Regione, Totò Cuffaro, afferrò il pennarello e vergò caratteri di almeno dieci centimetri. Voleva che fosse chiara la testimonianza di "un' impegno". Proprio così, con l' apostrofo.

Francesco Erbani  

 

Repubblica

28 marzo 2003

Su il sipario, debutta "Il fiore del dolore"

Il Biondo mette in scena il prete e il suo assassino

Spiega Pietro Carriglio "Niente cronaca mi sono messo al servizio del testo"

C' è una fitta trama di corde, sul palcoscenico del teatro Biondo, fili su fili che disegnano sempre la stessa astrazione: un groviglio di interrogativi e verità possibili, un itinerario di conoscenza che si attorciglia su se stesso e approda al riscatto attraverso la fede. è lo scenario scelto dal regista Pietro Carriglio per "Il fiore del dolore" di Mario Luzi, omaggio appassionato che a dieci anni dall' omicidio, il teatro Biondo dedica alla memoria di padre Pino Puglisi. Lo spettacolo, un grande apologo civile in versi sciol ti, debutta alle 21 al Biondo in prima nazionale, con la regia, le scene e i costumi di Carriglio: è un viaggio alla ricerca della verità all' indomani dell' omicidio del prete di Brancaccio, intriso di riflessioni sui temi della giustizia umana e divina. In scena, con l' Orchestra Franco Ferrara diretta da Carmelo Caruso, Giulio Brogi, Umberto Cantone, Filippo Luna, Liliana Paganini, Antonio Silvia, Pippo Spicuzza e Stefania Blandeburgo.

IL REGISTA: «Con "Il fiore del dolore" abbiamo voluto aprire un dibattito sulla mafia. Insieme all' assassinio di Peppino Impastato, quello di Puglisi è uno degli episodi che mi hanno colpito di più: l' omicidio esemplare di un prete che voleva allontanare i bambini dalla mafia, strappandole nuova manovalanza. Luzi ha creato un testo di altissima poesia, versi densi, con incursioni continue nella metafisica: è la forma scelta dal poeta per dialogare con questo tema. Io ho trattato il testo con rispetto assoluto, mi sono semplicemente messo al servizio del l avoro dell' autore: è bene chiarirlo subito, non c' è alcun dato di cronaca nel nostro spettacolo, nessuna frase di Puglisi». Ma qual è la difficoltà nel portare in scena un testo poetico? «Non è certo la prima volta, il teatro, d' altra parte, è il luogo per eccellenza dell' espressione della poesia - risponde Carriglio - è una forma in più con cui fare i conti, niente può soverchiare i versi. Stavolta ho cercato di organizzare al massimo la resa dello spazio: in platea abbiamo eliminato diverse poltrone per disegnare idealmente una croce centrale, abbiamo evocato le voci e le diverse anime della città. Insomma, non è un' operazione facile. Al pubblico chiedo di disporsi rispetto al testo con la stessa attenzione e lo stesso impegno con cui si ascolta una Sonata di Bach». Carriglio, intanto, annuncia che per luglio sta già pensando a un altro progetto: "Assassinio nella cattedrale" di Eliot, in scena probabilmente in cattedrale, con Umberto Cantone, Giulio Brogi e Gianna Giachetti.

GLI ATTORI: Umberto Canto ne è il motore dell' azione, l' opinionista inviato a Palermo dal direttore del suo giornale per «immergersi nel flusso di casi, di accidenti, di fatti della città», successivi all' omicidio Puglisi, e fornire un' interpretazione sulla «anomalia palermitana». «Il mio personaggio - dice l' attore - rappresenta l' alter ego dell' autore rispetto all' impossibilità di decifrare i fatti in maniera univoca. è questa la bellezza del testo, che non fornisce mai soluzioni ma solo possibili traiettorie della verità. E alla fine, gli resta la sua perplessità di fronte alle contraddizioni, lo smarrimento di fronte a sollecitazioni diverse, e la fascinazione del bene che emana dalla lezione di Puglisi». Alfonso Veneroso interpreta invece il sicario, attanagliato dai rimorsi: «Il sicario è una specie di filo conduttore - spiega Veneroso - sicuramente uno dei personaggi poeticamente più struggenti. Chiuso in una cella, elabora in tre monologhi il dolore di aver ucciso un innocente: dapprima il ribrezzo per se stesso, poi la rabbia per il giudizio degli uomini, quindi lo smarrimento in attesa di un giudizio superiore. Nel finale, a salvarlo, giunge il sorriso del prete ucciso. è l' elaborazione profonda che gli permette di ritrovare il senso profondo dell' esistenza». Il Cardinale è Giulio Brogi, al quale è affidato anche il prologo, con la voce post mortem di Pino Puglisi che consegna agli spettatori una delle possibili chiavi di lettura del testo». «Da cardinale - dice Brogi - conduco l' inchiesta ecclesiastica come un politico. Esalto il ruolo benefico e abominevole di questo secolo, analizzo i fatti senza trovare una tesi convincente» Gianna Giachetti, invece, è madre Vincenza: «Rappresento il pensiero religioso di Luzi - racconta l' attrice - di fronte alle domande della gente comune, sono la risposta di una fede cattolica molto sentita che spiega ogni evento all' interno di un imperscrutabile disegno divino».

LA POLEMICA: Ma il ricordo non basta secondo Pino Martinez, uno dei fondatori del Comitato intercondominiale di via Hazon, che lavorò con don Pino per il riscatto di Brancaccio: «La rappresentazione teatrale è un momento importante per non dimenticare, ma attenzione a fermarsi solo alle celebrazioni. Purtroppo, a dieci anni dal martirio, la cultura, la città e anche la Chiesa non hanno ancora raccolto a pieno l' eredità di Giuseppe Puglisi. Molti dei problemi per cui lui si è battuto restano tuttora irrisolti».

Laura Nobile

 

Giornale di Sicilia

25 marzo 2003

Via Hazon, Mutuo per gli scantinati-scandalo

La volontà c'è ed è bilaterale, il Comune vuole acquistare gli "scantinati scandalo" di via Hazon 18 e il curatore del fallimento Pilo li vuole vendere. Il problema non è nemmeno il prezzo, perchè le due parti sono vicine: distano appena 160.000 euro e forse entro il 2003 si accorderanno, dieci anni dopo l'omicidio di don Pino Puglisi che Brancaccio voleva salvarla a partire dagli scantinati. A un passo dalla firma, il problema è che il Comune non ha i soldi, 500 mila euro, poco meno di un miliardo di lire. L'amministrazione non ha ancora prenotato la somma in bilancio. Lo farà nel documento 2003, e poi dovrà stipulare un mutuo. "Ma un mutuo è una cosa rapida, meno di un mese": l'assessore ai Lavori pubblici Lorenzo Ceraulo non vede ostacoli, la pratica "sarà chiusa entro la fine dell'anno". Resta, almeno per ora, lo scandalo. E noi partiamo proprio da questa storia esemplare per il primo giorno della campagna del mese dedicata a Brancaccio-Ciaculli. "La somma sarà inserita in bilancio dal Patrimonio, nel capitolo acquisto immobili. Intanto - assicura l'assessore - i tecnici dei Lavori pubblici stanno preparando il progetto di acquisto e di ricollocazione dei locali da portare in consiglio comunale. In attesa del voto del Consiglio chiederemo l'anticipata occupazione degli spazi: gli esterni diventeranno un parco auto della polizia municipale, nel resto sono previsti centri di aggregazione, servizi sociali e un presidio sanitario". Venerdì 21 marzo, ore 17 l'assessore Ceraulo parla degli scantinati: "Ormai sono in salvaguardia, non c'è più sporcizia e degrado, le fognature sono state riparate, l'Amia effettua la pulizia periodica". Mezz'ora dopo, e dopo un sopralluogo negli scantinati, parlano don Mario Golesano e Maurizio Artale (responsabile del Centro Padre Nostro) e lanciano l'allarme: "Ci sono liquami e cani morti. I bambini giocano nell'immondizia, attività artigianali hanno occupato abusivamente gli spazi, i cancelli sono divelti e i muri bucati". Il Centro chiede "subito una pala meccanica per la bonifica, un camion di sabbia, un risanamento igienico". Dall'Associazione intercondominiale, Pino Martinez ha fiducia nel Comune: "L'amministrazione farà la sua ultima offerta e finalmente acquisterà gli scantinati, restiamo in attesa della terza conferenza di servizio che l'assessore Ceraulo ha promesso". Brancaccio '93, non si muove foglia senza l'assenso dei Graviano e negli scantinati vince la mafia. Brancaccio 2003, decimo anniversario di don Pino, i Graviano sono in carcere e gli "scantinati scandalo" restano luogo di spaccio, di illegalità e di incontri criminali. Il Comune pulisce, studia l'ultima controfferta. E si impegna: compreremo.

Delia Parrinello

 

Giornale di Sicilia

25 marzo 2003

La lunga battaglia in nome dell'antimafia nel condominio segnato dalla violenza

Dopo l'omicidio di don Puglisi, il prefetto ordinò di murare gli ingressi dello scantinato. Da allora, a periodi l'acqua esce dalle fognature, i ragazzini giocano fra i rifiuti, di sera la gente non passa dalla via Hazon e fa il giro largo per evitarla, dalla paura. A periodi gli ingressi murati vengono demoliti per far uscire la puzza e poi rifatti, le fognature vengono riparate dall'Amap e l'Amia fa la pulizia straordinaria dei topi. Il complesso di scantinati e piano terra è una ex proprietà del costruttore Giovanni Pilo, oggi in curatela fallimentare. Da sedici anni il Comune è in trattativa per l'acquisto. Da Pilo il Comune ha comprato tutto e liberamente, i dodici piani di via Hazon 18 e anche due immobili di via Eugenio l'Emiro per 17 miliardi. Nel '96 il Comune sta acquistando per tre miliardi anche gli scantinati, ma la trattativa si ferma per evitare che i soldi della collettività passino nelle "casse inquinate" di Pilo, un costruttore coinvolto in vicende di mafia poi risoltesi. Si oppone la "Consulta tre P" e la giunta di centrosinistra di Leoluca Orlando. "Dal 1987 - elenca il curatore fallimentare, l'avvocato Vito Valenti - tre perizie e due delibere erano pronte, l'ultima è andata in consiglio comunale il 18 maggio del '95 ma non è stata mai votata". Lo scantinato diventa discarica, il Centro Padre nostro di don Mario Golesano e l'Associazione intercondominiale di Pino Martinez, uno dei protagonisti storici di via Hazon, fanno una battaglia piena di promesse ma senza risultati. Degli scantinati che don Pino voleva salvare si parla ancora in aprile 2002 quando si scopre che due giovani accoltellati a Borgo Vecchio, Vincenzo Chiovaro e Antonino Lupo, vengono da Brancaccio , via Hazon. "Li abbiamo fatti vivere nella melma, dove non può nascere la coscienza di un riscatto morale" si addolora don Golesano. Il 3 maggio 2002 la prima conferenza di servizio sugli scantinati del sindaco di centrodestra Diego Cammarata: "Il Comune acquisterà gli scantinati". Seconda conferenza il 30 maggio 2002: il Comune offre la somma di 414.000 euro. "La cifra non è congrua, ne chiediamo 560.000", risponde la curatela fallimentare. Marzo 2003, l'assessore Ceraulo: "Faremo una ulteriore perizia e una controfferta".

Delia Parrinello

 

Giornale di Sicilia

 26 marzo 2003

Zona industriale,  Sicurezza fai-da-te  con  12  telecamere.

Brancaccio e le aziende compresse, la luce che va e viene, l'incubo della criminalità. Le imprese di Brancaccio e i soliti nodi dello sviluppo che non c'è, del "posto pubblico" dilagante, della tecnologia all'anno zero. Questioni aperte, storia simbolo del secondo giorno della nostra campagna su Brancaccio, alle quali l'Asi (il consorzio per le aree di sviluppo industriale) sta cercando una risposta, dove può. Le aree Assenti. A Brancaccio non c'è posto per uno spillo, non un metro quadrato disponibile. "Sono impegnati tutti i lotti disponibili. Area satura per le cinquanta imprese insediate" dice Alessandro Albanese, il presidente del Consorzio. Esiste una zona _ fa notare Albanese _ in cui l'espansione è possibile. Anzi doverosa. Tanto per essere chiari, "c'è una fascia di terreni adiacente al centro direzionale _ prosegue Albanese _. Ora, su questa zona si è già cominciato a investire con un'opera di pianificazione. Ora ci sono i fondi (quattro milioni e seicentomila euro) per realizzare otto rustici, cioè otto capannoni nei quali ospitare imprese. L'operazione _ fa notare il presidente dell'Asi _ è analoga a quella già condotta con successo a Termini Imerese. Dopo la costruzione dei rustici, i lotti vengono dati in affitto. Lo scopo è quello di creare un incubatore di imprese fragili, a Termini le attività insediate sono 22". La sicurezza fai da te "Il fatto è questo: le imprese hanno paura. Di furti, danneggiamenti, vandalismi, delle strade isolate" è la premessa di Albanese. Ecco perché il consorzio sta avviando un programma-sicurezza autarchico, che consiste in questo: l'area sarà chiusa da un cancello in ognuno dei due ingressi. Saranno installate dodici telecamere a circuito chiuso. Il costo dell'operazione è di centomila euro all'anno. Spesa che sarà sostenuta dal consorzio, le imprese pagheranno un canone di cinquanta euro al mese. La rete telematica E' più di un progetto. E' un fondo di otto miliardi (targati assessorato regionale all'Industria) per un collegamento intranet di tutte le imprese delle tre aree industriali, Brancaccio, Carini e Termini Imerese. "Il decreto sta per essere registrato, poi il bando per la gara d'appalto sarà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale _ annuncia Albanese _. Dieci mesi di lavori per posare la rete. Poi la tecnologia entrerà nelle imprese", trionfalismi a parte, dopo la costruzione l'Asi gestirà la rete telematica. Luce a intermittenza Il problema delle microinterruzioni non è nuovo, anzi. La luce che va via per qualche frazione di secondo. Un black out impercettibile per l'occhio umano, un dramma per le aziende che vedono interrotto il loro ciclo produttivo. Problema che secondo Albanese "dovrebbe essere risolto nel giro di poco tempo. L'Enel sta facendo grossi investimenti nel miglioramenti delle reti in Sicilia, anche Brancaccio sarà coinvolta da questi lavori", Albanese parla da gestore. E' il consorzio Asi a gestire la distribuzione di energia elettrica, la pulizia e gli scarichi fognari. Ed è l'Asi che sta preparando un piano regolatore del consorzio, sulla base di linee concordate con il Comune, per stabilire criteri generali validi per tutte le imprese, dall'altezza dei fabbricati ai limiti massimi di costruzione in un lotto. "Perché- conclude Albanese - è fondamentale che le imprese abbiano regole uniformi". Anche se spesso hanno natura diversa. Tanto per fare un esempio: dei 1.732 dipendenti occupati in tutte le imprese del consorzio, ben 784 sono impiegati nelle officine. Numero esageratamente alto, se non fosse che i depositi sono dell'Amia, dell'Amap e dell'Amat. Nulla di nuovo: Sicilia, terra di posto pubblico.

Al. Bi.

 

Giornale di Sicilia

27 marzo 2003

Brancaccio, il Comune riscopre i tesori dell'Arte

Seminascosta tra vicoli polverosi e palazzoni di cemento armato, ostaggio di restauri infiniti o non conosciuta come meriterebbe, c'è una Brancaccio diversa dagli stereotipi che la vorrebbero solo terra di mafia: te ne accorgi ammirando il castello di Maredolce, scorgendo i ruderi della chiesa di San Ciro, facendo una capatina per Ponte Ammiraglio o un excursus alla parrocchia San Giovanni dei Lebbrosi, o infine passando in rassegna associazioni, scuole e comitati che si battono affinché quei luoghi siano riscoperti e valorizzati. E' uno spaccato del "bello di Brancaccio", come lo definisce l'assessore comunale alla Cultura, Gianni Puglisi, delineando la strategia che il municipio vuole perseguire. Già, perché recuperare i monumenti in questo quartiere assumerebbe un doppio significato: "Storico ed artistico da un lato, politico e culturale dall'altro", dice il neo assessore. Ecco, allora, l'obiettivo: "Veicolare un messaggio simbolico che affranchi la borgata dall'immagine stereotipata in cui l'ha costretta la mafia". Un cammino ancora lungo e che si snoderà anche "promovendo itinerari turistici, in sinergia con tour operator e Soprintendenza". Proprio come auspica l'"Associazione intercondominiale quartiere Brancaccio", che al Comune ha chiesto un percorso turistico per chiese e monumenti della borgata, suggerendo di utilizzare gli scantinati di via Hazon come supporto logistico ed organizzativo. D'altra parte, quando quei luoghi "si aprono", ne arrivano a frotte, di visitatori. E' successo al castello di Maredolce: per la "Giornata di primavera" promossa dal Fai, il Fondo per l'ambiente italiano, accompagnati da giovani ciceroni, in migliaia hanno varcato l'ingresso di quel "topos" arabo-normanno. Un luogo ameno, rifugio di sollazzi, a ridosso di un lago poi scomparso ma che ha lasciato il nome: Maredolce, appunto. Già per un paio di anni il castello era stato aperto (sempre per scampoli), per iniziativa di Legambiente. E questa del Fai non sarà certo l'ultima: a fine maggio l'area antistante ospiterà la premiazione del concorso "Ti racconto una storia sul castello", promosso dalla scuola media Quasimodo (referente Piero Carbone) ed aperto a tutte le medie di città e provincia. "E' un luogo da svelare definitivamente alla città e ai turisti", dice Mimmo Ortolano, presidente dell'associazione culturale "Castello di Maredolce". E per fare ritornare il castello agli antichi splendori è scesa in campo la soprintendenza ai Beni culturali, con un intervento di restauro. Molto è stato fatto, ma molto c'è ancora da fare: recuperare il "fu" lago e sistemare gli spazi verdi, ad esempio. "Nonostante i lavori effettuati, il monumento è ancora in stato di degrado", ha sottolineato al Giornale di Sicilia una lettrice che lo ha visitato domenica scorsa, chiedendo di "espropriare ed abbattere le case lì intorno per dare maggiore risalto al castello". A poche centinaia di metri, la chiesa di San Ciro, a Maredolce, all'inizio di via Ciaculli e alle pendici del monte Grifone. Stavolta, "simbolo di lavori di restauro iniziati a bizzeffe ma senza nessun risultato", come ha denunciato al Giornale di Sicilia un residente del quartiere Brancaccio- Ciaculli, oggetto in questi giorni della campagna del mese del Giornale di Sicilia. Già, è arenato da tempo il restauro di quella chiesa, una sola navata a croce greca, costruita nel 1736. Dalla Soprintendenza, che lo ha appaltato, fanno sapere che due interventi sono entrambi fermi a causa di problemi amministrativi. Il primo (per copertura ed intonaci) addirittura quasi alla conclusione, dopo una variante. Da qui l'ipotesi "di rescindere il contratto con la ditta, più volte sollecitata invano". A fare il tifo per una pronta riapertura è certamente la scuola Cesareo, che ha "adottato" alcuni anni fa la chiesa per la manifestazione "Palermo apre le porte". Lo stesso hanno fatto gli studenti dell'istituto comprensivo Padre Pino Puglisi con Baglio Piazzese, a ridosso della scuola, in via Panzera: "In disuso, lo abbiamo utilizzato per spettacoli, teatro e giochi di strada", racconta il preside Gaetano Pagano. A pochi passi dalla chiesa di San Ciro, una grotta si apre sul monte Grifone. A partire dal 1547 vi furono numerosi ritrovamenti di ossa che l'erudita fantasia locale attribuì a presunti "giganti", un mito sfatato nel 1831 dall'abate Domenico Scinà che spiegò come quei resti ossei appartenessero ad un deposito alluvionale di fossili di ippopotami, elefanti e cervi. Si passa alla chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi, in via Cappello, a ridosso di corso dei Mille. Il parroco, padre Domenico Tinaglia, racconta di "turisti che vengono ad ammirarne le bellezze, ma ancora non numerosi come meriterebbe il monumento". E' lui in persona ad accoglierli, dalle 9 alle 11 e dalle 16 alle 18.30. Tutto ciò di pari passo con l'attività liturgica (tre messe la domenica mattina, una il sabato pomeriggio). Questa è probabilmente la più antica testimonianza dell'arte normanna a Palermo: la sua costruzione dovrebbe risalire al 1071. Nel corso dei secoli vi fu prima annesso un ospedale militare e poi un lebbrosario, cui si deve il nome attuale. In tre navate, l'ingresso è preceduto da un porticato su cui si regge il campanile che si fregia di una cupola rossa che richiama quella, più antica, a copertura del presbiterio. Poche decine di metri più in là, il Ponte dell'Ammiraglio. Deve il suo nome a Giorgio Antiocheno che lo costruì e la sua fama ad una vittoriosa battaglia dei Mille di Garibaldi nella loro marcia di ingresso alla città. Inizialmente vi scorreva, prima di essere deviato nel letto che conosciamo, il fiume Oreto. Sì, è bella, Brancaccio. Di una bellezza nascosta. Che aspetta solo di essere riscoperta.

Filippo Pace

 

Giornale di Sicilia

9 maggio 2003

Brancaccio. Le porte bruciate: alla sbarra boss e gregari.

Intimidazioni all’Intercondominiale, il pm chiede 40 anni per i sei imputati.

Sette anni ai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, a Nino Mangano e Gaspare Spatuzza; cinque a Vito Federico e Santo Carlo Cascino. Queste le richieste del pubblico ministero al processo per il rogo delle porte d’ingresso in via Azolino Hazon il 29 giugno ’93, un atto di intimidazione indirizzato verso Pino Martinez, Giuseppe Guida e Mario Romano, tre componenti del “Comitato Intercondominiale” che affiancò don Pino Puglisi nella sua lotta a Brancaccio.

La pubblica accusa, nella persona del pm Egidio La Neve, ieri nella requisitoria ha ricostruito il clima pesante che caratterizzò la zona quell’anno. A giugno le porte bruciate, a settembre l’omicidio di don Pino. Lo stesso Salvatore Grigoli, killer del sacerdote, aveva detto che “era tutta una linea”, lasciando intendere che l’escalation iniziata con le porte bruciate e terminata con l’assassinio era espressione dello stesso disegno criminoso, volto a sopire la reazione della società civile allo strapotere mafioso nel quartiere di Brancaccio.

In cima i fratelli Graviano come mandanti, poi  Nino Mangano e Gaspare Spatuzza, “figure di spicco”. Infine i “gregari” Federico e Cascino: questi i ruoli, secondo La Neve.

Il commando entrò in azione la sera del 29 giugno ’93. “Ricordo tutto – dice Pino Martinez – la puzza di bruciato, la fuga. Era importante collegare la nostra disavventura all’aria di intimidazione che si respirava nel quartiere. Tutto cominciò quella sera, con le porte delle nostre case date alle fiamme. L’ultimo atto fu l’uccisione di don Pino”.

Roberto Puglisi

 

Repubblica

11 maggio 2003

 I residenti avevano subito attentati perchè vicini a don Pino Puglisi

Brancaccio presenta il conto ai Graviano

 Le vittime del Comitato Intercondominiale chiedono 500 mila euro

 Dieci anni dopo l’assassinio del parroco di Brancaccio, don Pino Puglisi,  i suoi collaboratori – riuniti nell’associazione intercondominiale di via Hazon – continuano ancora a chiedere giustizia.  Si sono costituiti parte civile contro i mafiosi che incendiarono le porte delle loro abitazioni, sollecitano il tribunale a condannare i fratelli Filippo e Giuseppe  Graviano a un risarcimento esemplare per Brancaccio: 500.000 euro, un miliardo delle vecchie lire. I giudici della quinta sezione decideranno presto, sul banco degli imputati ci  sono i padrini del quartiere, già condannati all’ergastolo come mandanti del delitto Puglisi, ma anche i loro gregari, Nino  Mangano, Gaspare Spatuzza, Vito Federico e Santo Carlo Cascino. Per tutti gli imputati, il pubblico ministero Egidio La Neve, ha chiesto condanne per complessivi 40 anni.

Dal parrino al comitato, era tutta una linea – ha raccontato Salvatore Grigoli, il killer del sacerdote, oggi collaboratore di giustizia – andavano fermati”. Ufficialmente, il caso è chiuso: i mandanti e i sicari che entrarono in azione quel 15 settembre del ’93 sono stati definitivamente condannati dalla Cassazione. “In realtà la magistratura dovrebbe ritornare a indagare su quell’omicidio”, dice Pino Martinez, uno degli animatori del comitato di via Hazon: “Già le sentenze emesse hanno rilevato un contesto di complicità sociali e politiche attorno ai fratelli Graviano, un vero e proprio sistema di potere che andava al di là di Brancaccio. E non a caso, i fratelli Graviano sono stati fra i registi della stagione stragista del ’93, fra Roma, Firenze e Milano. Sono fra i protagonisti di complicità ancora inconfessabili con settori della politica”.

Pino Martinez aveva consegnato anche un dossier alla magistratura, ricordando le denunce del sacerdote e dell’associazione intercondomoiniale: “Sollecitavamo semplicemente le istituzioni a creare alcuni servizi essenziali per il quartiere, ma emergevano ovunque scandali politici”. Il dossier si può consultare sul sito Internet www.angelfire.com/journal/puglisi   .

“Alcune delle nostre battaglie per Brancaccio restano purtroppo irrisolte – dice Martinez – una soprattutto, quella che è poi diventata il simbolo del martirio di padre Puglisi, la battaglia per lo scantinato di via Hazon. Il parroco voleva che fosse restituito alla città.  Dieci anni dopo la sua morte, è ancora abbandonato, meta delle più svariate pratiche illegali. Il sindaco Cammarata ha promesso di acquistarlo per istituirvi alcuni servizi essenziali. Ma Brancaccio attende ancora”. Nei giorni scorsi, l’associazione di via Hazon ha sollecitato l’Assindustria a partecipare ad un progetto di riscatto per il quartiere, sponsorizzando un itinerario storico-turistico.

Salvo Palazzolo

 

Giornale di Sicilia

 8 giugno 2003

 Patti chiariTrovata l'intesa sul prezzo con il curatore giudiziario. L'assessore Ceraulo: "Entro due settimane delibera in Consiglio per il via libera all'acquisto".

 Scantinati di via Hazon, c'è l'accordo. Il Comune li pagherà 500 mila euro.

 Una pratica che corre da 16 anni, fra soste e marce indietro. Oggi invece il passo è in avanti: la notizia positiva è una delibera di acquisto pronta per il consiglio comunale. In questa pratica, che è il ritorno all'uso civile dei magazzini di via Hazon, c'è la vita perduta di padre Pino Puglisi che nel '93, anche per questo, fu ucciso su ordine dei boss Graviano: voleva salvare i magazzini simbolo e scandalo di Brancaccio, diventati una base incontrollabile dell'illegalità.

Oggi che i magazzini sono ancora come ieri, una discarica, il passo avanti di giugno 2003 consiste nella delibera di acquisto da parte del Comune e in una cifra finalmente certa: la somma concordata per il pagamento di 500 mila euro, un miliardo di lire. "Entro due settimane la delibera andrà in consiglio comunale per essere approvata", assicura l'assessore ai Lavori pubblici Lorenzo Ceraulo: "Sarà dotata di un piano d'uso dei magazzini che diventeranno un parco auto per la polizia municipale, ci saranno centri di aggregazione, servizi sociali e un presidio sanitario. Dovremo accendere un mutuo per comprare i magazzini, intanto continuerà ad esserci qualche problema di degrado perchè le pulizie periodiche garantite dal comune vengono vanificate dai condomini indisciplinati.

Comunque - per Ceraulo - la pratica entro il 2003 sarà chiusa". L'acquisizione dovrebbe quindi quasi arrivare in tempo per i dieci anni dalla morte di don Pino, in settembre. Il complesso di via Hazon 18 è una ex proprietà del costruttore Giovanni Pilo, oggi in curatela fallimentare. In partenza il prezzo era di tre miliardi nell'87, e a don Pino sembravano una montagna. Dopo la sua morte il no della "Consulta 3P" e della giunta di centrosinistra di Leoluca Orlando, contrarie a far passare soldi pubblici nelle "casse inquinate" di Pilo, coinvolto in vicende di mafia.

Ci riprova l'anno scorso la giunta di centrodestra di Diego Cammarata, e offre 414 mila euro: un affare Sme al contrario, meno di un terzo rispetto a Orlando. Il curatore fallimentare ne chiede 560, "ma oggi - spiegano Pino Martinez e Mario Romano, componenti del'Associazione Intercondominiale che era a fianco di padre Puglisi - oggi c'è il consenso ufficioso del curatore fallimentare sui 500.000 euro, siamo a una svolta e chiederemo al presidente del consiglio comunale Totò Cordaro di far passare al più presto la delibera di acquisto". Era stato proprio Martinez a sollecitare il sindaco Cammarata ad accelerare l'iter durante il forum della campagna del mese "Patti chiari" che il Giornale di Sicilia ha tenuto a Brancaccio. Intanto dal Centro Padre Nostro, pochi giorni fa colpito da un'altra intimidazione, il responsabile Maurizio Artale chiede interventi urgenti di recupero e pulizia. "Nei magazzini ci sono liquami e cani morti, i bambini giocano nell'immondizia.

Delia Parrinello