Giornale di Sicilia

22 marzo 2002

Folla di studenti al processo antimafia. Rievocati gli attentati contro don Puglisi

"Con l'uccisione di padre Pino Puglisi è morta la speranza a Brancaccio". Mario Romano ne ha viste e sopportate tante: gli hanno bruciato la porta di casa, hanno ammazzato il suo pastore, quel prete dal sorriso leggero che sognava un quartiere normale in una città accogliente. Adesso, abbandonato sopra una panca del Palazzo di giustizia, "il ragazzo di don Pino" si lascia prendere dall'amarezza dei pensieri e delle parole e dice che a Brancaccio "Le cose vanno a peggiorare" e si mette la testa tra le mani.
Primo giorno di primavera, quarta udienza del processo per le porte di casa bruciate - il 29 giugno del '93 - ai più stretti collaboratori del prete assassinato, l'attentato anticipò di due mesi l'esecuzione decretata dal boss Graviano. Giuseppe e Filippo Graviano, Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Vito Federico e Santo Carlo Cascino (gli ultimi due considerati "gregari" dell'organizzazione) rispondono di danni e intimidazioni. Secondo l'accusa furono loro a mandare in fumo gli ingressi delle abitazioni di Pino Martinez, Mario Romano e Giuseppe Guida. "Fu un atto chiarissimo - ricorda Pino Martinez - una sorta di avvertimento, il tentativo di bloccare un sacerdote scomodo e le battaglie del comitato intercondominiale. Noi andremo avanti nel nome di don Pino. Abbiamo ricevuto tanta solidarietà, anche da radio Aut che lotta per la memoria di Peppino Impastato".
Primo, caldissimo, giorno di primavera. Mario Romano e Giuseppe Guida - che con Martinez si sono costituiti parte civile - devono deporre. L'attesa nell'atrio della quinta sezione è intrisa di nervosismo e sudore. Aspettano sopra la stessa panca i tre moschettieri di padre Puglisi - sparuta icona della società civile - accanto, un esercito multicolore di ragazzi. Sono gli alunni del liceo scientifico Basile e dell'Iti Volta, una scuola nel cuore di Brancaccio, l'altra a due passi. Non perdono una puntata. E proprio questi teen ager di periferia sono il termometro della speranza. "La situazione è difficile - racconta Anna - mia sorella ha fatto il censimento Istat a Brancaccio e ha visto cose terribili: famiglie che vivono in garage, venti persone che abitano tutte insieme nella stessa stanza...".
"Però forse qualcosa si sta risvegliando", azzarda Irene.
Quel "forse" è una porta girevole tra paradiso e inferno. "Ci vuole pazienza - insiste la professoressa Daniela Raja - la scuola, comunque, è un porto franco". Fuori, la cappa di una presenza che, riconosce Irene, "si avverte chiaramente". Ma i ragazzi di Brancaccio non vogliono essere rinchiusi nel collo stretto di un luogo comune. "Ci sono dei problemi - reagisce uno con la coppola - ma i problemi esistono dappertutto, certo a Brancaccio si vive nell'emergenza". Ne sa qualcosa il comitato che ha lottato, insieme a un prete dal sorriso leggero, per portare nel quartiere la fognatura e la scuola, simboli diversi della stessa dignità. La scuola, oggi, è una realtà. Resistono gli antichi baluardi: la parrocchia di San Gaetano e il centro Padre Nostro. Però padre Pino non c'è più, Martinez è andato via. Invece gli altri due moschettieri sono rimasti. A malincuore. "Se potessi, scapperei. Mi hanno emarginato", dice Mario Romano. Poi ripete: "La speranza è morta con don Pino, nessuno ha saputo raccogliere la sua eredità". Scocca l'ora dell'udienza, testimoni e ragazzi si infilano nell'auletta di giustizia. In videoconferenza i fratelli Graviano ascoltano. Fioccano le domande del pubblico ministero, Egidio La Neve.
E i testimoni ricostruiscono l'epoca delle intimidazioni, scattano istantanee appena scolorite dal tempo. Tocca sempre a Romano: "Volevamo solo vivere in un quartiere civile", ed è un sussurro quasi una preghiera. Vivere in un posto civile. Era il sogno toccante di don Pino. E' il vecchio sogno dei professori chiusi nel recinto di una scuola, è il sogno appena nato dei ragazzi che volano via, quando si conclude il rito della giustizia. Escono dai saloni severi del Palazzo, ridendo a squarciagola. Ridono e si baciano i ragazzi. E Brancaccio diventa un presagio dissolto, un destino lontano. Ora, che è ancora primavera.

Roberto Puglisi

 

Repubblica

22 marzo 2002

Alunni di Basile e Volta alle udienze sulle minacce a Puglisi. L'iniziativa:
Due scuole "adottano" un processo di mafia

Due scuole palermitane adottano un processo, quello che vede imputati i boss di Brancaccio per le intimidazioni ai collaboratori di don Giuseppe Puglisi che avevano creato il Comitato intercondominiale di via Hazon. Ogni udienza che si celebra alla quinta sezione del tribunale ci sono le delegazioni dell'Iti Volta e del Liceo scientifico Basile: cento ragazzi che in questi mesi stanno ripercorrendo, con i loro docenti, l'itinerario di impegno del parroco di Brancaccio assassinato dalla mafia nel '93. Un prete di borgata che faceva paura ai clan perché, con la forza della parola, era riuscito a strappare i giovani dalla criminalità organizzata per avvicinarli alla solidarietà e al dialogo.
Drammatica l'udienza del processo di ieri mattina. Le testimonianze di Giuseppe Guida e Mario Romano, a cui furono bruciate le porte di casa, hanno riaperto un capitolo ancora inesplorato del martirio di don Puglisi: l'isolamento del sacerdote e del comitato di via Hazon che nei mesi precedenti l'omicidio lanciò ripetuti appelli alle istituzioni, perché Brancaccio avesse una scuola media e gli altri servizi necessari.
"Incontrammo i responsabili del Provveditorato, dell'Ausl, della prefettura, del Comune - raccontano i testimoni rispondendo alle domande del pubblico ministero Egidio La Neve - ma non ottenemmo nulla". I ragazzi ascoltano attenti. I boss di Brancaccio, Filippo e Giuseppe Graviano, Nino Mangano, Gaspare Spatuzza, guardano l'aula collegati in vidoconferenza da un carcere del Nord: il colpo d'occhio sul monitor è d'effetto. Insieme agli studenti ci sono anche i rappresentanti di associazioni e movimenti.
L'ultima adesione è arrivata dall'Associazione Radio Aut, in un ideale gemellaggio fra il processo Puglisi e quello per l'omicidio di Peppino Impastato. "Non facevamo niente di rivoluzionario - dice Romano - in un quartiere si deve vivere con tutti i diritti".

Salvo Palazzolo

 

www.fuoricronaca.it

25 marzo 2002

Brancaccio: il processo va avanti.
Martinez: " Un passo nella giusta direzione ".

Era il 18 di Dicembre del 2001 quando il Presidente della Corte d' Assise di Palermo accetto' la costituzione di parte civile nell'ambito del processo ai mandanti e ai sicari di Don Pino Puglisi - il parroco di Brancaccio eliminato dalla mafia la sera del 15 settembre del 1993 - del Comitato Intercondominiale del quartiere.
Una grande soddisfazione, quella provata dai componenti di quella coraggiosa associazione, visto che la richiesta per la costituzione di parte civile non era detto che fosse ammissibile.
"Gli avvocati difensori degli imputati hanno giocato sul fatto che come associazione ci eravamo legalmente costituiti dopo la morte di padre Puglisi - dice Pino Martinez, tra i fondatori dell' Comitato - " e pertanto non rappresentavamo, secondo loro, quello stesso gruppo, il Comitanto Intercondominiale, che aveva condiviso a Brancaccio l'impegno civile e religioso con padre Puglisi.
Ce l'abbiamo fatta, ed era evidente la nostra commozione" -dice Martinez ripercorrendo - in occasione della quarta udienza del processo contro mandanti e gregari di quell'omicidio, tra cui i boss indiscussi del quartiere, i fratelli Graviano- quella giornata di dicembre che ha assunto un valore simbolico: la societa' civile, per la prima volta, entrava a pieno titolo in un processo di mafia.
"È stato il primo passo per chiedere che sia fatta giustizia nei nostri confronti; nei confronti di chi dopo circa nove anni non si è mai tirato indietro, ma è ancora impegnato in battaglie per affermare il principio della legalità e per contrastare la cultura mafiosa" - ribadisce con immutato entusiasmo Martinez.
Ed il pensiero - mentre viene tracciato questo excursus che e' solo una tappa intermedia fra le tante che ancora sono di la da venire - Martinez lo rivolge al ricordo di Don Pino Puglisi.
" Sarebbe orgoglioso di noi e della nostra azione come un padre puo' essere orgoglioso dei proprii figli " - dice Martinez.
Ed un padre per i componenti del Comitato Don Pino lo era veramente: era un padre spirituale, oltre che un punto di riferimento solido su cui chiunque poteva contare.
"Lui ha dato la sua vita in modo consapevole perché aveva capito che qualcuno di noi stava per pagare il conto per l'aver voluto mettere in discussione, poco alla volta, il controllo di un territorio che fino ad allora era stato indiscutibilmente nelle mani del potere politico-mafioso" -ricorda Martinez nel suo racconto.
Piu' volte Don Pino nelle sue omelie aveva infatti fatto capire ai parrocchiani che mai avrebbe accettato che qualcuno fosse stato costretto a pagare con la vita l'impegno assunto nella lotta al crimine e al malaffare: che dei semplici cittadini avevano scelto di combattere insieme a lui; insieme al parroco di un quartiere a ferro e fuoco.
E Gregorio Porcaro, l'ex vice parroco, trabocca entusiasmo e soddisfazione per la decisione dei Giudici: "Essere stati ammessi come parte civile sarà forse un passo verso ciò in cui crediamo sia giusto credere: la giustizia. Don Pino ci ha insegnato con la vita che bisogna perseverare nella speranza nonostante tutto. Per anni noi dell'Associazione Intercondominiale ci abbiamo creduto e abbiamo sperato e continueremo a vivere credendo e sperando. Oggi la decisione presa dal giudice ci conferma che la strada è quella giusta. "
Rino Martinez - il cantautore palermitano da sempre impegnato attraverso le sue canzoni nella sensibilizzazione rispetto ai problemi di mafia ed illegalita' - ha voluto invece sottolineare che nella vita vale sempre la pena di lottare.
" La speranza per una società più giusta va alimentata perché ci aiuta ad impegnarci per un futuro migliore per i nostri figli" - ha detto Rino.
Giuseppe Carini, che vive ormai da anni lontano da Palermo e sotto protezione, ha detto:" Non per vendetta ma per giustizia abbiamo scelto di costituirci parte civile".
E si e' espressa anche Avia - la professoressa che ha collaborato accanto a Suor Carolina prendendo parte alle attivita' del Centro Padre Nostro: " L'amore per la verita' di Giuseppe Carini sapeva di sale: il Comitato era e resta un modello di impegno civile che potrebbe essere ripreso in altri quartieri, e specie in quelli considerati a rischio".
E poi Mario Romano, che mette in risalto l'importanza di essere stati ammessi come "parte civile".
" Un'occasione per la società civile palermitana di ripartire dopo avere dovuto inghiottire tanti bocconi amari da un po' di tempo a questa parte nella lotta contro la mafia." - ha commentato Romano.
Tutti concordi i componenti dell'Associazione Intercondominiale nel sostenere che la lotta alla mafia non potrà mai avere esito positivo fino a quando le forze sane della politica e della società civile non si ritroveranno unite.
"Unite così come lo eravamo noi a Brancaccio " - ha concluso Martinez.

Alessandra Verzera

 

Giornale di Sicilia

12 aprile 2002

Ciampi incontra la media Puglisi: al fianco dei ragazzi di Brancaccio

Non a caso, il preside Gaetano Pagano definisce "un pellegrinaggio nei santuari delle istituzioni", il soggiorno a Roma di una delegazione di studenti della scuola media Padre Pino Puglisi di Brancaccio. Un'occhiata al programma, lo conferma: mercoledì i 46 alunni con 5 accompagnatori sono stati in udienza generale dal Papa. Ieri mattina, un incontro al Quirinale con il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che un paio di anni fa inaugurò l'istituto per cui tanto si battè il sacerdote ucciso dalla mafia. "Sarò felice di rincontrarvi tra qualche anno: io sarò ancora in carica, spero che voi avrete continuato gli studi, vi esorto a farlo", ha detto Ciampi ai ragazzi.
Subito dopo, la delegazione è andata a palazzo Madama dal presidente del Senato, Marcello Pera, che ha ricordato l'impegno morale e civile di Don Pino ed ha detto che "la lotta che le forze dell'ordine ed i magistrati conducono contro la mafia è molto importante, ma a nulla varrebbe se nei giovani non si diffondesse una cultura di testimonianza della democrazia". Il senatore dei Ds, Costantino Garraffa, anch'egli presente, ha aggiunto che "la scuola Puglisi è un esempio del lavoro che le istituzioni possono compiere per cambiare l'impostazione culturale di un territorio e quindi per sconfiggere la mafia". Dopo un pranzo a Palazzo Madama, nel pomeriggio tappa alla chiesa di Santa Maria Ogiditria dei siciliani da monsignor Michele Pennisi, primicerio della Confraternita, tra gli sponsor del viaggio assieme al Comune capitolino (coprirà le spese dell'alloggio) e alle Ferrovie. Oggi si continua con il presidente della Camera, Pierferdinando Casini, con Luciano Violante e Beppe Lumia. Alle sedici, visita al Campidoglio dal sindaco Walter Veltroni. Infine, domani giro per i musei Vaticani.

Filippo Pace

 

Giornale di Sicilia

26 aprile 2002

Due pregiudicati di via Hazon accoltellati al Borgo Vecchio: 51 fendenti

Omertà al Borgo. Cinque denunciati

Borgo Vecchio. Controlli della polizia ieri mattina: sono stati denunciati 5 negozianti per favoreggiamento

La decisione era nell'aria, mercoledì lo stesso questore aveva annunciato che non vi sarebbe stata alcuna indulgenza verso chi ha visto e continua a tacere. Ieri mattina, a meno di 48 ore dal massacro del Borgo Vecchio, cinque commercianti sono stati denunciati. Per favoreggiamento. Sanno e non dicono, hanno visto ma agli inquirenti "continuano a negare e a inventare fandonie", dice Cirillo.
I provvedimenti sono stati presi per titolari e impiegati di alcune botteghe proprio in piazza. Il capo della squadra mobile Guido Marino dice che non potevano non vedere. "Non sospettiamo che ci mentano, ne abbiamo le prove", spiega. La sfilata di commercianti e dipendenti negli uffici della squadra mobile, dice chi indaga, è stata un campionario tragicomico, un ammasso di bugie inverosimili.
Ma è possibile che nessuno, proprio nessuno, abbia assistito a un'esecuzione avvenuta in pieno giorno nella piazza del Borgo Vecchio? D'altronde non si può nemmeno dire che sia stato un omicidio fulmineo e silenzioso.
Basti pensare che Chiovaro, così è emerso dall'autopsia, è stato ucciso con trentotto coltellate e Lupo con tredici. Ad agire sarebbero state quattro o cinque persone, due o tre tenevano fermi i pregiudicati, gli altri colpivano all'impazzata, un omicidio fin troppo plateale per passare inosservato.
Il questore, intanto, ha vietato i funerali pubblici per i due uccisi, che saranno tumulati oggi. La decisione è stata presa, lo dice lo stesso Cirillo, "per evitare qualunque tipo di manifestazione o strascico". Visto il clima che si respira dopo l'omicidio al Borgo Vecchio e a Brancaccio (i due abitavano qui, in via Azolino Hazon), il questore vuole soffocare qualsiasi possibile focolaio di incidenti, non vuole offrire pretesti per fare salire ulteriormente la tensione.
Sul fronte delle indagini, ieri gli investigatori della squadra mobile hanno presentato un primo rapporto al sostituto procuratore Michele Prestipino. Nelle trenta pagine della relazione viene ricostruita la dinamica dell'omicidio, quindi vengono avanzati i motivi che avrebbero determinato la morte di Chiovaro e Lupo.
Due sono già noti, il traffico di droga e il giro di auto e moto rubate, un altro sarebbe emerso nelle ultime ore ed è uno spunto investigativo ancora tutto da appurare. Niente dettagli, per ora, solo la certezza che anche questo sarebbe riconducibile ai traffici tutt'altro che leciti di cui i due si occupavano.
Secondo gli elementi finora raccolti dagli agenti, Chiovaro e Lupo avevano un appuntamento con i loro assassini, forse per un incontro chiarificatore, forse per parlare d'affari. Difficile dire se le coltellate siano partite subito, se cio‚ l'omicidio fosse stato programmato, o se le cose siano precipitate durante la discussione.
Con chi dovevano incontrarsi i due? Per scoprirlo i poliziotti stanno controllando, ormai dai momenti immediatamente successivi al delitto, i cellulari dei due, trovati a terra accanto ai corpi ormai senza vita. Dal traffico telefonico delle ultime ore si potrebbero ottenere informazioni preziose, compresi i nomi delle persone con cui le vittime avevano parlato poco prima di morire.
Interessanti potevano essere pure le tracce di sangue lasciate sul selciato dagli assassini o da uno di loro. Il lavoro degli esperti della Scientifica, però, rischia di essere vanificato dalle abbondanti secchiate d'acqua che qualcuno, prima dell'arrivo della polizia, ha gettato a terra per cancellare ogni traccia. Un ulteriore tentativo, spiegano gli inquirenti, per dare una mano ai killer, per renderne impossibile la loro individuazione.

Francesco Massaro

 

Repubblica

24 aprile 2002

"Nove anni dopo quello è ancora il simbolo dell'illegalità". I due ragazzi uccisi abitavano nel palazzo di via Azolino Hazon a Brancaccio che Padre Puglisi voleva recuperare
Un condominio terra di nessuno

Un pomeriggio afoso di nove anni fa, don Pino Puglisi li aveva percorsi tutti gli scalini di quel palazzone maleodorante di via Azolino Hazon 18. Fino in cima, lì dove abitano le famiglie Chiovaro e Lupo. Le porte si aprirono, il piccolo parroco di Brancaccio portava una benedizione, un sorriso e la promessa che quel condominio non sarebbe stato più ghetto con le fogne a cielo aperto.
Don Pino fu ucciso qualche mese dopo dalla mafia. I boss di Brancaccio avevano fatto sapere che quel palazzo doveva restare così, perché lo scantinato era la base operativa di troppi affari. Altro che scuola media, consultorio, circoscrizione, ufficio dei vigili urbani, così come don Pino chiedeva alle istituzioni cittadine. Via Azolino Hazon 18 doveva restare zona franca.
"Sono passati nove anni e quel palazzo è ancora il simbolo dell'illegalità", dice Maurizio Artale, direttore del centro Padre Nostro fondato da don Pino: "Un drammatico rimpallo di competenze ha impedito che si facesse un solo passo avanti in questa vicenda".
Subito dopo l'omicidio di padre Puglisi, il prefetto ordinò di murare gli ingressi dello scantinato. Ma oggi, qualcuno ha risistemato comodi varchi che sono un continuo via vai. Sulla carta, il proprietario è la curatela fallimentare dell'impresa Pilo, di fatto lo scantinato è tornato ad essere terra di nessuno.
Era lì che si vedevano spesso Vincenzo Chiovaro e Antonino Lupo. Ma, infondo, attorno a quello scantinato ci stanno tutti. Persino i bambini del condominio che non hanno altro posto dove andare a giocare a pallone. Lì è arrivata la prima notizia che i due giovani di Brancaccio erano morti. E attorno allo scantinato si è riunita tutta la comunità, mentre i familiari correvano verso il Civico e Villa Sofia. "È un incidente, non può che essere stato un incidente", dice un amico dei due giovani. "Forse Lupo aveva un carattere spigoloso, ma morire così è assurdo". È l'ora del catechismo nella vicina parrocchia di San Gaetano. Mentre in chiesa i bambini recitano le preghiera, le mamme parlano dei due giovani e delle loro donne: "Vincenzo e sua moglie erano legatissimi, sempre insieme. Avevano cinque figli ma sembravano due fidanzatini. Antonio Lupo era fidanzato". Inutile chiedere che mestiere facessero. Tutti rispondono: "Niente".
"È una storia emblematica quella di Chiovaro e Lupo", dice Pino Martinez, uno dei fondatori del centro intercondominiale di via Hazon: "Una storia di solitudine e di emarginazione, come quella dei tanti ragazzi che vivono nel palazzo. La battaglia di padre Puglisi e quella nostra per via Hazon 18 era una battaglia per il riscatto. Eravamo anche riusciti ad ottenere qualche promessa. Ma sono rimaste tali: il palazzo è ancora il simbolo dell'illegalità, le istituzioni non sono mai arrivate in questa parte di città".
Eppure via Hazon 18 è anche il simbolo di un riscatto possibile: alcuni degli abitanti della zona, tra i fondatori del comitato intercondominiale, si sono costituiti parte civile contro i boss di Brancaccio che nel '93 incendiarono le porte delle loro case, come ritorsione.
"Inviterò il sindaco a convocare al più presto una conferenza di servizio su via Hazon", dice Antonio Diliberto, animatore del centro Padre Nostro e consulente per le attività sociali, prima di Leoluca Orlando, oggi di Diego Cammarata: "Se non si avvia al più presto un'opera di bonifica igienicosanitaria, sarà difficile proseguire e proporre un cammino di riscatto sociale. E ad essere chiamate in causa sono tutte le istituzioni, nessuna esclusa".

Salvo Palazzolo

 

Repubblica

24 aprile 2002

Lo sgomento del parroco Mario Golesano le reazioni
"È stata una morte annunciata un altro schiaffo a Don Puglisi"

"È una morte annunciata quella di Vincenzo Chiovaro e Antonino Lupo. I giovani di Brancaccio non sperano più. Lo Stato è latitante. E i nostri tentativi di riscatto ripiombano improvvisamente nel buio". Padre Mario Golesano, parroco di San Gaetano, lancia un grido d'allarme: "La chiesa e le associazioni non possono sostituirsi alle istituzioni, che devono fare piuttosto la loro parte sino in fondo. E così non accade. Quale alternativa è stata offerta a Vincenzo e Antonino? Nessuna", dice il parroco di Brancaccio. "Li abbiamo fatti vivere nella melma. E in quell'ambiente così putrido che è il condominio di via Hazon 18, con le fogne a cielo aperto, non può nascere la coscienza di un riscatto morale".
Il parroco di San Gaetano ricorda l'ultima visita del cardinale Salvatore De Giorgi a Brancaccio: "Lo volli portare proprio alle soglie di quel palazzo - dice Golesano - e le parole dell'arcivescovo furono lapidarie: "Non è pensabile che ci sia gente che vive in questo modo". Ma nonostante i nostri ripetuti appelli, nulla è cambiato".
La parrocchia di San Gaetano si stringe attorno "ai fratelli di via Hazon". Don Golesano lancia un appello "a rompere la catena dell'odio e della violenza". Ma dice anche: "Non prendiamoci in giro. La città abbia il coraggio di ammettere che alcune zone di Palermo fondano la loro economia sull'illegalità. E quale alternativa offre lo Stato? Quale progetto organico per le periferie hanno in mente le istituzioni? Cosa diciamo alla nostra gente, agli amici, ai familiari di Vincenzo e Antonino? Quale modello abbiamo proposto per convincere gli abitanti di via Hazon che è più bello stare dalla parte della democrazia, della libertà e della legalità? Lo Stato ci sta ancora pensando. Ma non c'è più tempo. Padre Puglisi è stato ucciso. La morte di Antonino e Vincenzo è un altro schiaffo alla memoria di don Pino".

Salvo Palazzolo

 

Repubblica

26 aprile 2002

Via Hazon: "Siamo poveri forse ladri, ma non pedofili"

C'è il videocitofono, "ma non funziona". Il portone è aperto "questo sì, sempre". Ma poi, tra le scale e l'androne ci sono i cancelli. "Come all'Ucciardone". Colore tra il grigio e il verde. Per renderli meno tetri li hanno addolciti con delle margheritine. Primo atrio a sinistra. Il banco col drappo dell'impresa di Nunzio Trinca. Una pagina di firme incerte, alcune minute e stentate. Altre grandi e infantili. È il cordoglio che cede alla modernità dei condomini. Antonino Lupo, nato 35 anni fa, morto martedì, viveva qui. Come l'amico Vincenzo Chiovaro che aveva due anni in più. E una famiglia con quattro figli: 12 e 10 anni i più piccoli. Non c'è il banchetto per Chiovaro. "Lo hanno portato dalla madre, allo Zen". Lontano da qui, dagli stenti di una famiglia che ha campato della solidarietà del palazzo: 73 famiglie su 12 piani di case pensate per la vendita e diventate popolari e abbandonate a loro destino. Con un enorme scantinato che è tabù. Murato con i blocchi di tufo dietro le cancellate. Dove dicono che l'acqua di fogna arrivi al ginocchio, dove proliferano topi lunghi sempre quanto l'avambraccio di chi descrive, ma dove raccontano di mille traffici: lì nel ventre di questo complesso costruito da Giovanni Pilo, palazzinaro fallito nell'85. Numero 18 di via Azolino Hazon. Il nome è quello di un comandante dei Carabinieri, morto sotto il bombardamento di San Lorenzo, a Roma.
Di questa strada di Brancaccio, di questo condominio, di questi scantinati ne hanno scritto i giornali, se ne è discusso in tivù. Ne parlava don Pino Puglisi. E anche oggi, oggi che qui si veglia il corpo di un ragazzo ammazzato nella piazza del Borgo, se ne parla come di un buco nero dove sparivano dei bambini allettati da due adulti arrestati, condotti da qualche parte quaggiù, violentati e filmati, rimandati indietro con pochi spiccioli in tasca per ricompensa. La storia viene fuori da una inchiesta della procura, iniziata col racconto di una ragazzina di sei anni. "No, non è vero, non potete dire anche questo di noi", urla una donna. "Poveri si, ladri forse, ma pedofili no", si agita un ragazzo.
C'è l'ascensore. "Questo, l'altro non funziona". Non c'è più neppure la cabina. Una donna con i sacchetti della spesa: qui all'angolo, tra la muraglia colabrodo che protegge lo scantinato, oltre il muro del parco giochi con i cumuli di immondizie che crescono nel lancio libero dei sacchetti, qui c'è un negozio sempre aperto. "I Lupo?" "Decimo piano". "Brutta fine ha fatto quel ragazzo...". "Ma intanto, che c'è da fare?". Pianerottolo affollato. La madre di "Tonino" è sulla porta. "Che devo dire? Che mi hanno ammazzato un figlio. Usciva la mattina e tornava la sera. Qualsiasi cosa abbia fatto non meritava una fine così. Era buono, era generoso". C'è Filippo, il fratello: "Venite dentro". In cucina il caffè forte è sulla tavola. Dal salotto l'odore dei fiori. Di là c'è "Tonino" con "la faccia che pare di cera". Pietro, il padre: "Lavorava, lavorava ai Cantieri: sei mesi e poi via. Voleva continuare ma doveva andare in una piattaforma in Egitto. Era sorvegliato e il tribunale ha detto no". "Magari era ancora vivo" e a Filippo gli si arrossano gli occhi. "Sette anni aveva fatto di carcere. Maledicevo quando era in prigione, ma era vivo. Avete scritto che aveva a che fare con la droga, ma non è vero". "Lo avete messo sul giornale per la storia dei furti delle auto e delle moto", ricorda il padre. "La notizia uscì quando lo avevano rilasciato, un giorno, era uno sbaglio". "Aveva pagato, ma la legge non lo lasciava in pace. Gli arrivavano sempre cumuli di pena", riprende Filippo. "Aveva voglia di stare tranquillo, sognava di avere dei figli". Filippo, come "Tonino", è disoccupato. In famiglia lavora Salvatore: 180 mila lire a settimana in un'azienda di imballaggi. Stesso lavoro del padre: 58 anni e 18 di contributi contro i 30 di lavoro. La pensione e in giro con l'Ape a raccogliere cartone. "Ma neanche questo si può fare più. Con la raccolta dell'Amia non si trova più niente". C'è un amico, lui lavora all'Amia. Era nel comitato intercondominiale. "Scrivete quello che c'è qui. Hanno messo in vendita gli alloggi per trenta milioni di lire. Solo tre hanno comprato. Gli altri non possono farlo. Venti famiglie non pagano il canone da sempre. Fra poco mancherà l'acqua perché ce la taglieranno e così la luce".

Enrico Bellavia

 

Giornale di Sicilia

30 aprile 2002

Brancaccio. Lì abitavano gli accoltellati. Un appello dell'associazione Intercondominiale

"Il Comune acquisti lo scantinato di via Hazon"

Brancaccio, via Azolino Hazon 18, storia di uno scantinato simbolo che va in degrado con tutto il quartiere mentre la mafia e l'antimafia discutono anni con i loro avvocati e i comitati.
Lo scantinato che fu una delle battaglie perdute di padre Pino Puglisi prima di essere ucciso dalla mafia. Da qui sono partiti i due accoltellati di Borgo Vecchio, Vincenzo Chiovaro e Antonino Lupo, uccisi martedì scorso. Valore tre miliardi di lire circa, fa parte del patrimonio di Giovanni Pilo, imprenditore le cui società sono fallite, implicato in questioni di mafia poi risoltesi, ma grande venditore del Comune a botte di miliardi e miliardi. Da Pilo il Comune ha acquistato tutto il condominio che sta sopra il cantinato di via Hazon. Da Pilo il Comune ha acquistato per diciassette miliardi anche due immobili di via Eugenio l'Emiro. Ma nel '96, di colpo, l'amministrazione comunale di centrosinistra guidata da Leoluca Orlando fa marcia indietro: i soldi della collettività non possono andare nelle casse di Pilo. L'antimafia del tempo chiede l'esame del sangue ai percorsi erogatori del Comune e tutto si blocca: lo scantinato resta in abbandono, come è oggi, immondizie, malavitosi, spacciatori, fogne rotte, vita da cani per le cento famiglie che ci stanno sopra.
Oggi, sul cantinato di via Hazon, torna alla carica con una richiesta d'acquisto da parte del Comune il comitato che nei primi anni '90 sosteneva la richiesta di don Puglisi. Un appello al Comune, alla Provincia e alla Regione dal titolo "Recuperare Brancaccio". Firmato da Pino Martinez per l'Associazione intercondominiale quartiere Brancaccio: "Si può recuperare Brancaccio, e per prima cosa il Comune acquisti il piano terra di via Hazon 18 e il cantinato attiguo di via Simoncini Scaglione per adibirli a strutture per attività istituzionali che favoriscano il controllo del territorio".
Il curatore fallimentare della Ingar srl, che fa capo al gruppo Pilo, l'avvocato Vito Valenti, è sempre pronto a vendere. E adesso tocca all'amministrazione di centrodestra di Diego Cammarata decidere se nel 2002 le casse del costruttore meritano i miliardi del Comune. Il caso sarà affrontato in conferenza di servizio col sindaco, il 3 maggio, ci saranno gli assessori al Patrimonio e alle Manutenzioni. La storia dello scantinato è già sul tavolo del consulente del sindaco Antonio Di Liberto, protagonista del volontariato di Brancaccio a fianco di don Mario Golesano nel Centro Padre Nostro. Di Liberto vede laico e dice che "il tema non sono le casse di Pilo, il vero problema è salvare Brancaccio e lavorare per il riscatto della sua gente. Il Comune valuterà la situazione dello scantinato ma il primo passo dovrà essere quello di fermare il degrado". La storia dell'indecisione del Comune la racconta il curatore fallimentare, l'avvocato Valenti. "Due delibere della giunta Orlando, in due tempi successivi, erano pronte per andare in consiglio e votare l'acquisto: l'ultima è andata in consiglio comunale il 18 maggio '95. Dopo non ho avuto più notizie del Comune, sebbene continuassi a proporre l'acquisto. Intanto lo scantinato è diventato una discarica, venti volte abbiamo cambiato il catenaccio e venti volte è stato divelto. Innumerevoli le chiamate all'Amia, periodicamente dobbiamo aprire gli ingressi murati per far uscire la puzza, adesso le chiavi del locale, dove c'è l'autoclave, sono affidate al condominio".
E Pino Martinez dieci anni dopo padre Puglisi pensa come sarebbe Brancaccio se nel '96 il Comune avesse comprato il cantinato, "acquisto al quale si oppose la Consulta 3P", vuole precisare. Pensa che gli abitanti non avrebbero più la voglia di svendere la loro casa e di scappare, le attività commerciali fiorirebbero, ci sarebbe lavoro legale e chi deve passare per la via Hazon non avrebbe più bisogno di fare il giro largo per evitarla, dalla paura.

Delia Parrinello

 

Repubblica

4 maggio 2002

Il Comune studia un progetto per regolarizzare il mercato e acquista lo scantinato di via Hazon. Assedio finito, arriva il sindaco "Riporteremo la legalità al Borgo"

L'assedio è finito. Le botteghe alzano le saracinesche. E anche le baracche chiuse riapriranno. Molto presto. Oggi stesso al Borgo Vecchio torneranno i vigili urbani. Ma questa volta dovranno verificare se e in che modo sarà possibile togliere in fretta i sigilli. Il sindaco, che da casa ha seguito le cronache sulle dure contestazioni, si è riavuto in fretta dall'influenza, al Borgo è andato di buon mattino ed è tornato poco prima di mezzogiorno. Ha rassicurato e promesso. Ha placato gli animi di molti suoi elettori che a gran voce, giovedì, sotto villa Whitaker, schiumavano di rabbia e delusione. Ma non solo del Borgo si è occupato Cammarata. Ha annunciato infatti che il Comune acquisterà lo scantinato del palazzo al 18 di via Hazon. L'edificio è quello in cui abitavano i due giovani uccisi la settimana scorsa e proprio per questo la storia di questo immenso garage teatro di mille traffici, con l'acqua di fogna che lo invade, è nuovamente balzato all'attenzione. A distanza di molti anni dalle cento lettere che Padre Pino Puglisi con il comitato intercondominiale aveva inviato a mezzo mondo puntando l'indice su quella terra di nessuno sotto a un palazzo di 12 piani dove vivono 73 famiglie.
Così, una vicenda che è cominciata con 40 coltellate, un giallo rimasto ancora irrisolto, lascia il posto a un elenco di impegni amministrativi. Gli stessi che Cammarata ha elencato al questore Francesco Cirillo, cui è andata la solidarietà del sindacato di polizia Sap. Mentre il parroco del Borgo, don Paolo Turturro invita gli assassini a costituirsi e propone un incontro tra cittadini e questore nella chiesa di Santa Lucia.
Toccherà adesso all'assessore alle attività produttive Giacomo Terranova, che ieri ha incontrato un gruppo di commercianti, il consigliere Mimmo Russo, incoronato portavoce della protesta, e il segretario provinciale della Confesercenti, una onorevole tregua. "L'obiettivo - spiega Terranova in linea con il sindaco - è quello di riportare alla legalità tutti. Intanto non possiamo far finta di ignorare che certe forme commerciali sono veri e propri ammortizzatori sociali". Dunque una soluzione immediata e un progetto per il futuro. L'idea è quella di dissequestrare lì dove le carenze o le inadempienze sono sanabili. Per il resto un dissequestro temporaneo e un affido in custodia delle baracche ai commercianti che "in tempi brevi" saranno aiutati a mettersi in regola in vista di un risanamento del mercato. Un progetto invocato anche dalla Fiva Confcommercio. Intanto, tolleranza: cassette di frutta davanti alle baracche chiuse, merce sulle lambrette e niente blitz dei vigili.
Per via Hazon, invece, un verbale a termine di una conferenza di servizio in cui il Comune annuncia all'avvocato Vito Valenti, curatore del fallimento dell'impresa Pilo, la volontà di acquistare. Il prezzo è quello del 1988: due miliardi e 300 milioni delle vecchie lire. Una nuova perizia ridefinirà il costo. In attesa, l'amministrazione, attraverso l'assessore alle Infrastrutture Lorenzo Ceraulo, potrebbe averlo in affitto a un prezzo simbolico. Resta aperta l'ipotesi di una requisizione che il Comune vaglierà con la prefettura. Un centro per anziani, uno per bambini, un distaccamento dei vigili urbani e un commissariato di polizia sono le ipotesi sull'uso dell'edificio. Per i servizi sociali si è già fatto avanti con un progetto il centro Padre Nostro diretto da padre Mario Golesano: "L'impegno del Comune - dice - é un passo avanti per ristabilire legalità nel quartiere". "Già oggi - spiega Antonio Diliberto, consulente del sindaco e volontario del centro - i tecnici comunali saranno al lavoro in via Hazon per giungere rapidamente all'acquisizione". Amia e Amap con gli operai del Dl 24 si occuperanno della pulizia intorno al palazzo e al ripristino delle fognature.

Enrico Bellavia

 

Giornale di Sicilia

7 maggio 2002

Il condominio di Brancaccio

Scantinati di via Hazon, al lavoro gli operai dell'Amia. E ora interventi sulle fogne

Il Comune ripulisce gli scantinati di via Hazon a Brancaccio, promette di acquistarli ma l'Associazione Intercondominiale, che aveva sollevato il problema, guarda avanti e propone una serie di ipotesi sull'uso: "L'acquisto non basta - scrive Pino Martinez, a nome dell'associazione, in una lettera inviata al sindaco Diego Cammarata - tutta Brancaccio deve essere recuperata come chiedeva padre Pino Puglisi, va rilanciata una economia di tipo turistico e gli scantinati potrebbero essere utilizzati a supporto di itinerari di questo tipo: come sede per un nucleo di polizia municipale, come call center privato o pubblico per informazioni, come agenzia di operatori turistici". Tutte idee che l'amministrazione dovrà valutare mentre da ieri in via Hazon 18 lavorano gli operai dell'Amia impegnati nella disinfestazione dei locali. L'assessore alle infrastrutture Lorenzo Ceraulo ha annunciato che l'Amap nei prossimi giorni riparerà le fognature "per evitare che gli scantinati vengano allagati dai liquami". In via Hazon arriveranno anche i tecnici e le maestranze del Coime (ex DL 24), sistemeranno il cancello d'ingresso che è stato divelto e collocheranno i vetri nelle scale. Entro fine settimana l'assessore Ceraulo convocherà una riunione fra i colleghi di giunta per fare il punto della situazione: c'è la volontà del Comune di risolvere un problema che si trascina da dieci anni, dalle battaglie per Brancaccio di padre Puglisi. Il Comune possiede i 67 appartamenti che stanno sopra gli scantinati, rimasti al vecchio proprietario e oggi in curatela fallimentare. Il Sindaco Cammarata ha più volte ribadito in questi ultimi giorni l'intenzione di acquisto e ha detto che "questa scelta consentirà di sottrarre i locali all'uso illegale che ha quanto pare se ne è fatto in questi anni. Una volta acquistati dal Comune, potranno ospitare servizi destinati agli abitanti del quartiere".

Delia Parrinello

 

Repubblica

7 maggio 2002

Brancaccio. In via Hazon comincia la bonifica dell'Amia

Gli operai dell'Amia sono al lavoro da ieri negli scantinati dell'edificio di via Azolino Hazon, a Brancaccio. L'Amministrazione comunale ha dato il via agli interventi annunciati nei giorni scorsi dal sindaco Diego Cammarata, dopo un sopralluogo effettuato dai tecnici del settore Patrimonio per verificare le condizioni dello stabile, in cui il Comune è proprietario di 67 appartamenti.
Ieri l'Amia ha iniziato la disinfestazione degli scantinati, affidati a una curatela fallimentare e in totale stato di abbandono. I locali subito dopo saranno ripuliti da rifiuti e liquami. Contemporaneamente, tecnici e le maestranze del Coime (ex dl 24) provvederanno a sistemare il cancello di ingresso, divelto, e a collocare alcuni vetri nelle finestre delle scale. "L'Amap si occuperà invece, della riparazione della fognatura - spiega l'assessore alle Infrastrutture, Lorenzo Ceraulo - per evitare che gli scantinati continuino a essere allagati da liquami".
Il Comune ha intenzione di acquistare gli scantinati dello stabile. "Questa scelta - spiega il sindaco Cammarata - consentirà di sottrarli all'uso illegale che a quanto pare se ne è fatto in questi anni. Una volta acquisiti i locali potranno ospitare servizi destinati agli abitanti del quartiere".

 

Giornale di Sicilia

31 maggio 2002

Via Azolino Hazon, proposta del Comune: "pronti all'acquisto"

L'amministrazione comunale farà una proposta per l'acquisto degli scantinati-scandalo di via Azolino Hazon. E' una delle decisioni prese, ieri pomeriggio, nel corso della conferenza di servizi, convocata dal sindaco Diego Cammarata, per affrontare i problemi dell'edificio di
Brancaccio. All'incontro, che si è svolto nella sede della seconda circoscrizione di via San Ciro, hanno partecipato, tra gli altri, gli assessori alle Infrastrutture, Lorenzo Ceraulo e al Personale, Pippo Enea, il parroco di Brancaccio, don Mario Golesano, il presidente della circoscrizione, Sandro Terrani. Il settore Patrimonio provvederà a fare subito una valutazione degli scantinati.
Subito dopo l'amministrazione comunale presenterà una proposta di acquisto alla proprietà degli immobili che si trova sotto curatela fallimentare.

 

Repubblica

31 maggio 2002

Il cardinale De Giorgi: "Atti vandalici". Il procuratore Morvillo: "Stiamo cercando un filo conduttore"
Le tre piste degli investigatori: mafia, teppisti o sette sataniche

Mafia, teppismo, sette sataniche. Le ipotesi si rincorrono. Si appuntano sulle modalità dei raid. Sui tempi: una sequenza rapida. Sui luoghi scelti. Tutti a loro modo simbolici. Perché in quartieri chiave della geografia criminale o perché motori di iniziative sociali significative.
La mafia. A ritenere plausibile una regia unica, un attacco concentrico a istituzioni distintesi per l'impegno antimafia sono sia alcuni preti di frontiera sia i magistrati. Don Mario Golesano, parroco di Brancaccio, guida della parrocchia di San Gaetano, dove operava Padre Pino Puglisi, non ha mancato di sottolineare che l'incursione vandalica coincide con il progetto di recupero dei magazzini di via Hazon (proprio oggi l'Amia completerà la pulizia in vista dell'acquisto da parte del Comune): il piano cantinato dell'edificio popolare su cui da anni si rimpallano competenze e piani di intervento, mentre l'immobile è teatro di traffici di ogni genere. L'ultima indagine riguarda anche un giro di pedofilia che in quella terra di nessuno avrebbe avuto una base operativa. "C'è un clima preoccupante - commenta il procuratore aggiunto Guido Lo Forte - e gli episodi inquietanti iniziano ad essere troppo frequenti. Sembra si vogliano colpire le voci che si alzano contro la mafia. Voci rappresentate sia dalla Chiesa, sia dalle amministrazioni pubbliche".
L'ipotesi di un segnale della mafia è anche nelle parole di Padre Giacomo Ribaudo che però ha una sua lettura: "La mafia potrebbe volere dire che senza di lei è il caos. Chiunque può fra quel che vuole". "Niente zone franche", questo è il messaggio mafioso, secondo il segretario della camera del lavoro, Francesco Cantafia.
Atti di teppismo. È questa la chiave di interpretazione del cardinale Salvatore De Giorgi che dei raid ha parlato durante una visita ai detenuti dei Cavallacci a Termini. De Giorgi si dice "preoccupato" ma lascia intendere di non ritenere plausibile la pista mafiosa e qualifica piuttosto le incursioni come "atti di teppismo". "Le preoccupazioni che avevo espresso nei giorni scorsi parlando dei rischi, della sicurezza dei luoghi sacri e delle persone che vi operano, adesso posso dire che risultano fondate - ha sottolineato il capo della Chiesa palermitana - L'attenzione da parte nostra è maggiore perché i fatti che si sono verificati sono tanti e nell'arco di pochi giorni".
A coordinare le indagini è il procuratore aggiunto Alfredo Morvillo che ha la delega per la criminalità diffusa: "Siamo ancora nella fase della ricerca di quanti e quali atti sono stati denunciati - dice - una volta ottenuto il quadro completo valuteremo l'esistenza di un eventuale filo conduttore". C'è insomma un monitoraggio, che tecnicamente non è ancora sfociato nella intitolazione di un fascicolo unico di indagine che presupporrebbe indizi inequivocabili sulla matrice degli episodi.
Sette sataniche. L'ipotesi più nuova affiora ancora nelle parole di padre Giuseppe Bucaro e di padre Giacomo Ribaudo ma non in relazione al furto della Magione, quanto piuttosto per alcuni dei raid vandalici precedenti. "Qui da noi - spiega Ribaudo - hanno rubato e credo fosse questo l'obiettivo principale. Negli altri casi era la profanazione, l'atto vandalico, la vera ragione delle incursioni. E non escludo neppure l'intervento di sette sataniche ovviamente ostili alla Chiesa. È un fenomeno che conosco e che ho denunciato in passato e che nella nostra città sta conoscendo una crescente diffusione tanto da farmi dire che dopo Torino, una delle capitali di questo genere di culti è proprio Palermo. Ci sono organizzazioni che contano su luoghi precisi di reclutamento spesso frequentati da giovani. Ci sono simboli che a molti non dicono niente ma che sono veri e propri richiami per chi è addentro a queste cose. La presa del satanismo, del resto, ha a che vedere con la forte carica di religiosità che c'è nella nostra città".
Sul piano delle indagini la macchina investigativa si è messa in moto con un comitato interforze con investigatori della squadra mobile e del nucleo operativo dei carabinieri. A coordinare l'attività è il questore Francesco Cirillo che ha anche informato il prefetto Renato Profili. "Non escludo - ha detto Profili - una riunione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza in tempi brevi. Attendiamo però i primi risultati delle indagini".

Enrico Bellavia

 

Giornale di Sicilia

16 settembre 2002

Progetto dei volontari "Portiamo qui i turisti"

Brancaccio evoca mafia e violenza, ma in quel quartiere sfortunato esistono monumenti e risorse che potrebbero riscattare un nome malfamato. E' l'idea messa nero su bianco dall'Associazione intercondominiale, formata dai primi collaboratori di don Pino puglisi, e in attesa di qualcuno che voglia realizzarla. "Recuperare Brancaccio" dovrebbe partire dall'acquisto da parte del Comune dei locali abbandonati in via Azolino Hazon 18, "in condizioni di estremo degrado, diventati simbolo della sconfitta delle istituzioni e della vittoria della cultura mafiosa" scrive Pino Martinez. "Il recupero - aggiunge - può essere legato alla ricchezza del patrimonio storico del quartiere, dal periodo arabo e normanno, passando per il Risorgimento, fino al recente passato legato al ricordo di padre Puglisi. Una ricchezza da sfruttare per dare impulso ad un'economia di tipo turistico". Il percorso potrebbe partire dalla chiesa di San Ciro, poi visitare il castello di Maredolce, San Giovanni dei Lebbrosi, Ponte Ammiraglio, San Gaetano e i luoghi di don Puglisi. E per fare questo in via Hazon 18 dovrebbe nascere il quartier generale della nuova "agenzia turistica".

Alessandra Turrisi

 

Giornale di Sicilia

8 novembre 2002

Processo "Intercondominio"

Grigoli: la mafia colpì gli amici, poi eliminò padre Puglisi

"Era tutta una linea", Salvatore Grigoli - uno dei killer di don Pino Puglisi - conferma: le porte di casa bruciate in via Azolino Hazon ai membri del Comitato Intercondominiale precedettero "logicamente" l'assassinio di don Pino. Fu un atto di intimidazione, ordinato dai boss Graviano infastiditi dalla presenza e dall'azione del sacerdote e dei suoi volontari. Il primo punto di una escalation che qualche mese dopo - le porte di casa furono bruciate nel giugno del '93 - toccò il culmine con l'omicidio di don Pino. Grigoli parla in videoconferenza, da un luogo "protetto". E ricostruisce davanti al collegio presieduto da Salvatore Barresi e davanti al pm Egidio La Neve il clima che si respirava a Brancaccio all'epoca dei fatti. Nel quartiere non si muoveva foglia senza l'assenso dei Graviano, Giuseppe, soprattutto, che - secondo le dichiarazioni rese dal collaboratore - era il vero capo famiglia. "Si tratta di una ricostruzione che conferma quello che sapevamo - commenta Pino Martinez, una delle vittime di quell'attentato -, davamo fastidio. Prima provarono a intimidirci, poi uccisero don Pino".

Roberto Puglisi