Corriere della Sera

2 novembre 1999

Io, costretto a scarcerare il killer

"Io "avvocato" dell'assassino di don Pino Puglisi ? Non c'è uno più arrabbiato di me, se il pentito adesso è fuori. Sono io che ho cercato mandanti ed esecutori chiedendo ergastoli per il delitto del parroco di Brancaccio. Ma questa è la legge".
Scusi, dottor Lorenzo Matassa, come pubblico ministero non è lei che ha invocato la scarcerazione del "pentito" Salvatore Grigoli, accusato di questo e altri 39 delitti ?

"Perché noi applichiamo la legge. Almeno, tentiamo di farlo. C'è una legge che tutti dicono di volere cambiare, ma che nessuno cambia. E noi magistrati dobbiamo applicarla".
Perché quest'obbligo alla "libertà" per un "picciotto" con tanti delitti sulla coscienza ?
"Perché la legge mi porta a chiedere a un boss di parlare, di confessare proponendo in cambio il "programma di collaborazione". Se poi parla e confessa fatti e delitti che nessuno gli avrebbe mai contestato, io, come pubblico ministero, come sostituto procuratore, non posso tradire l'impegno preso dallo Stato con una legge".

Legge malfatta ?
"Dicono tutti che non va, che vogliono cambiarla. Facciano pure. Finché resta in vigore, io debbo solo applicarla".
Bisogna avere dieci minuti liberi e concentrarsi bene per seguire tutti i passaggi che hanno reso possibile l'uscita dal carcere di Salvatore Grigoli, il killer del quartiere Brancaccio reo confesso di 40 omicidi, compresi quelli di don Pino Puglisi e del piccolo Giuseppe Di Matteo sciolto nell'acido perché figlio di un pentito.
Condannato quattro volte rispettivamente a 18, 20, 15 e 16 anni, anche Grigoli s'è pentito ed ha appena lasciato il carcere, dopo poco più di 2 anni di reclusione. Un record italiano.
Il superenalotto dei pentiti. Già, perché Grigoli, come osserva il suo pm, ha potuto avvalersi della stessa legge che tutti dicono di voler cambiare, quella dei collaboratori di giustizia.

La stessa applicata per Balduccio Di Maggio quando, libero e "protetto", ricostituì una "cosca di pentiti" e tornò ad uccidere, forte del credito accumulato raccontando la storia del "bacio" al processo Andreotti.
Dicono che Grigoli si sia pentito davvero e che abbia scelto come suo padre spirituale il successore di padre Puglisi. Un dato che non ha commosso i giudici della Corte di assise, inflessibili un mese fa nel disporne la carcerazione per "pericolosità sociale".
Ma proprio la Procura della Repubblica s'è opposta e i pubblici ministeri, trasformatisi negli "avvocati" del pentito, hanno chiesto al Tribunale della libertà di assegnarlo agli arresti domiciliari.
Invocazione accolta. Grigoli torna a casa da moglie e figli. Tutti protetti dallo Stato in appartamento e località top secret.

Uno scandalo per alcuni. Anche per Cristina Matranga di Forza Italia. Non per il pubblico ministero, che assicura di essere stato "costretto" a chiedere tutto questo, Lorenzo Matassa, un magistrato estraneo alle correnti di palazzo, sempre considerato autonomo, una spina nel fianco per i potenti di Palermo con le sue inchieste centrate negli anni di Caselli perfino contro Leoluca Orlando.
Dottor Matassa, un dato crea curiosità: la Corte di assise condanna il boss a 16 anni di reclusione e ne dispone la custodia cautelare. Voi, con l'avvocato di Grigoli, vi opponete e il Tribunale della libertà lo fa uscire...
"Perché è questo che prevede il "programma di collaborazione"".
E la Corte di assise non sapeva ?
"Non conosciamo ancora le motivazioni del dispositivo. Forse avrà richiamato una delle tante sentenze della Cassazione, spesso contraddittorie... Ma la norma è chiara. La Corte di assise non poteva chiedere il carcere per Grigoli perché nessuno lo aveva chiesto".
Voi pubblici ministeri avevate proposto 18 anni di reclusione.
"La pena di 18 anni. Ma non il carcere. Perché la legge sui collaboratori prevede altre forme di detenzione".

La Corte non poteva decidere diversamente ?
"Eh, no. Abbiamo voluto il processo accusatorio ? Allora, il giudice "terzo" può solo statuire qualcosa se una delle parti glielo chiede. Quindi, non può mandare in galera una persona se non c'è una richiesta. E io non ho chiesto. Non ho potuto chiedere".
Non ha potuto ?
"Per rispetto della legge sui collaboratori".
Grigoli è stato davvero "utile" allo Stato ?
"L'omicidio di don Pino Puglisi non è solo il delitto di un povero prete. + importante il contesto. Quello di un quartiere dominato dai Graviano, i boss che ritroviamo nelle stragi del '93: le bombe di Milano, Firenze, Roma. Su questo piano Grigoli è "utile" alle indagini".
Lei dice di essere arrabbiato. Qual è l'incoerenza che la irrita ?
"Noi abbiamo chiesto l'ergastolo per i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano e 18 anni per Grigoli. Ma la Corte ha ridotto a 16 anni la condanna per il "pentito" e limitato l'ergastolo come mandante a Giuseppe Graviano, assolvendo per il delitto il fratello Filippo, a sua volta condannato a 10 anni per mafia. La "famiglia" è una, gli interessi dei due fratelli comuni. Eppure, questa è la scelta dei giudici. Aspettiamo le motivazioni. Ma quando si ordina col dispositivo il ripristino della custodia cautelare per tutti e tre gli imputati, io dico che c'è un errore. Si, c'è una legge che non viene tenuta in considerazione".

Ed è bastato appellarsi al Tribunale della libertà...
"...che in dieci minuti ha disposto la scarcerazione perché la legge, piaccia o non piaccia, è chiara. Guardi che io non sono laureato in Agraria".

Felice Cavallaro

 

Repubblica

13 gennaio 2000                                                                                                                                        

La testimonianza . Dal ’91 richieste disperate per una scuola. Che verra` inaugurata nel pomeriggio.

Le cento lettere di don Puglisi allo Stato

La storia travagliata della prima scuola media di Brancaccio e` tutta in cento lettere. Tante ne scrisse in tre anni padre Pino Puglisi a coloro che avrebbero dovuto occuparsi di Brancaccio e non l’hanno fatto. Sindaci, assessori, prefetti, presidenti della Regione. Chiedeva una scuola media, un distretto socio sanitario, una biblioteca, una palestra. La prima lettera risale al ’91, l’ultima al ’93, poche settimane prima dell’omicidio: risposte non ne arrivarono. Se non dopo la sua morte. Adesso, finalmente, Brancaccio ha i suoi servizi "essenziali". La scuola verra` inaugurata oggi pomeriggio dal presidente Ciampi.

Su quei fogli non c’e` solo la firma del parroco, ma anche quella dei componenti del comitato intercondominiale di via Hazon, un gruppo di cittadini decisi a cambiare lo stato delle cose nel proprio quartiere. Tre mesi prima del delitto Puglisi, furono minacciati: Salvatore Grigoli, il killer che il 15 settembre avrebbe sparato al sacerdote, brucio` le porte delle loro abitazioni. L’ultima lettera ha i toni di una tragedia annunciata. Porta la data del 9 agosto ’93, e` indirizzata al presidente della Repubblica Scalfaro: :"Un anno e` passato da quando le abbiamo scritto e nessuna risposta abbiamo ricevuto su un suo intervento che certamente Ella ha disposto. Tre dei componenti del comitato sono rimasti oggetto di un attentato. Nelle nostre famiglie la serenita` non e` piu` di casa. Cio` che resta della forza del comitato e` praticamente niente perche` ci siamo defilati; la paura che ha avuto il sopravvento rivela ancora una volta l’assenza delle articolazioni dello Stato". In cento amare lettere c’e` il testamento spirituale di don Puglisi: "Sono ancora molti i giovani che scelgono la strada come maestra – scrive il parroco al sindaco Aldo Rizzo, nel giugno del ’92 – Per il nostro quartiere chiediamo una scuola". Da quel momento furono tante le lettere che arrivarono sul tavolo di molte istituzioni. A un altro sindaco, Manlio Orobello, e al commissario che si insedio` in seguito. Don Pino e il Comitato non si scoraggiarono. Il 27 aprile ’93 tornano a scrivere al prefetto: "Se non si realizzeranno in tempo i servizi necessari, questo contesto di degrado sara` capace di garantire ancora per molti anni comportamenti indecorosi, analfabetismo, evasione scolastica, manovalanza per la criminalita` organizzata". Il 5 agosto, una nuova lettera al prefetto. Inizia con un secco "Promemoria" e di seguito le richieste ancora senza risposta. Il 15 settembre, padre Puglisi viene ammazzato. Al suo sicario dice: "Me l’aspettavo".

Di Salvo Palazzolo

  

Giornale di Sicilia

14 marzo 2000

Don Puglisi, la sentenza sui Graviano "Solo Giuseppe ordino` di ucciderlo"

L’ordine di uccidere don Pino Puglisi arrivo` solo da "Madre Natura", alias Giuseppe Graviano…………..A distanza di cinque mesi dalla lettura del dispositivo, avvenuta il 5 ottobre, i giudici della terza sezione della Corte d’assisi hanno depositato i motivi della condanna all’ergastolo di Giuseppe Graviano e dell’assoluzione (col beneficio del dubbio) del fratello, ritenuto colpevole solo di associazione mafiosa; per questo motivo gli sono stati inflitti 10 anni. Sedici anni e` stata invece la pena toccata all’esecutore materiale, Salvatore Grigoli, colui che sparo` al prete e che poi, decidendo di collaborare con la Giustizia, ha consentito di condannare all’ergastolo i propri complici. Nei confronti degli esecutori materiali (Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone e Nino Mangano) il processo e` molto piu` avanti ed e` gia` arrivato in Cassazione………..Il pm Lorenzo Matassa aveva chiesto la condanna all’ergastolo di entrambi i fratelli e per questo adesso presentera` appello contro la sentenza. I Giudici inquadrano il delitto "nella strategia volta a scoraggiare il sacerdote ed i suoi collaboratori dall’intraprendere iniziative pregiudizievoli per la "famiglia" di Brancaccio". Don Pino viene definito un "prete coraggioso" e "di trincea che infaticabilmente operava nel territorio. La sua opera – prosegue la sentenza – aveva finito col rappresentare un’insidia ed una spina nel fianco del gruppo criminale emergente che dominava il territorio, perche` costituiva un elemento di sovversione nel contesto dell’ordine mafioso, conservatore, opprimente e reazionario, che era stato imposto nella zona".

R. Ar.
   

Giornale di Sicilia

11 aprile 2000

Don Puglisi martire ? Non testimoniera` il PM del processo

Il martirio di don Pino Puglisi passera` anche attraverso l’esame degli atti giudiziari dei processi contro i mandanti e gli esecutori del suo assassinio. L’acquisizione delle requisitorie e degli atti sara` l’alternativa alla deposizione di Lorenzo Matassa, pm di entrambi i processi. Il magistrato si e` rifiutato di testimoniare nell’istruttoria del processo di beatificazione del parroco di Brancaccio. La discussa decisione della Chiesa palermitana di non costituirsi parte civile contro i Graviano e gli esecutori materiali del delitto non e` proprio andata giu` al pubblico ministero, che ha declinato gentilmente l’invito della commissione diocesana, che si occupa di raccogliere le testimonianze per il processo. "Forse volevano che testimoniassi sul valore dell’uomo Puglisi – spiega Matassa - , ma io non ho mai accettato ne` condiviso la posizione della Chiesa palermitana, che ha lasciato solo padre Pino e poi non si e` neppure costituita parte civile. Mentre Puglisi cercava di riportare il vangelo su un corpo malato col Centro Padre Nostro e si opponeva col sorriso a ceffi del calibro di Inzerillo e Cilluffo, la Chiesa stava a guardare. Perche` agli atti profani, come i lasciti e gli offertori, la Chiesa da` valore e alla funzione di parte civile no ? Se proprio hanno bisogno delle mie parole, possono benissimo leggersi gli atti del processo e le mie requisitorie". Alla commissione, cosi`, non resta che acquisire gli atti. Cosa che potrebbe fare anche con un’eventuale testimonianza scritta del killer Salvatore Grigoli. Gli interrogatori dei sessanta testimoni sono cominciati nello scorso mese di dicembre. La meta` dei convocati e` gia` stata ascoltata e le audizioni, secondo le intenzioni del cardinale Salvatore De Giorgi, dovrebbero concludersi entro il prossimo 15 settembre, anniversario dell’omicidio di don Puglisi.

Al. Tu.

 

Giornale di Sicilia

23 aprile 2000

Un Graviano assolto, l'altro no: il pm attacca il verdetto Puglisi

Una sentenza controversa, la condanna di uno solo dei presunti mandanti, a fronte di elementi che lasciavano ritenere che la sua responsabilità fosse esattamente uguale a quella del fratello. È per questo che il pubblico ministero Lorenzo Matassa ha impugnato, non senza polemiche, la decisione con la quale, il 5 ottobre scorso, la terza sezione della Corte d'Assise chiuse il processo ai presunti mandanti dell'omicidio di don Pino Puglisi, il sacerdote di Brancaccio ucciso il 15 settembre del 1993.

Sei mesi fa i giudici condannarono all'ergastolo solo Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio, e assolsero il fratello Filippo, condannato per associazione mafiosa a dieci anni. Poche righe bastarono a giustificare la sua assoluzione, pur emessa con la formula che un tempo era quella dubitativa. Fu condannato a 18 anni, invece, l'esecutore materiale, il collaborante Salvatore Grigoli, che ha confessato.

Secondo Matassa il verdetto finale, nella parte che riguarda i Graviano, non sta in piedi e si affaccerebbe l'ipotesi della "sentenza suicida": la motivazione sarebbe cioè volutamente carente, per far sì che venga annullata in appello; quasi una manifestazione di dissenso dell'estensore rispetto alla decisione collegiale, nella quale determinante è il peso dei giurati popolari. "Lo sviluppo motivo - scrive infatti il rappresentante dell'accusa - è ampiamente contraddittorio col dispositivo". E questo sarebbe "finalizzato alla manifestazione esteriore del dissenso o della contrapposizione deliberativa interna", insomma quasi una "forma eutanasica della decisione".

A questa conclusione si arriva perché, sempre secondo il pm, la sentenza è mal motivata e presenta punti di contrasto tra paragrafo e paragrafo. I giudici hanno comunque ritenuto che solo nei confronti di Giuseppe ci fossero elementi certi per arrivare a un giudizio di colpevolezza. In altri due giudizi paralleli, uno già chiuso con la sentenza definitiva, l'altro (contro i presunti esecutori materiali) ormai prossimo alla decisione finale della Cassazione, si dà per certo invece che a ordinare l'assassinio del prete siano stati i due fratelli. Adesso l'assoluzione di uno o di entrambi potrebbe rimettere tutto in discussione.

"Poche battute - scrive il pm nell'atto di appello - sono servite a demolire anni di investigazioni, anni di processi e l'aspettativa di una decisione ugualmente affermativa dei risultati accusatori" nei confronti di entrambi i Graviano. "Ecco invece - prosegue l'impugnazione - come la Corte di primo grado ha liquidato la questione……D'altra parte, non può neppure escludersi che il Filippo potesse avere rispetto al fratello una diversa opinione sul modo di arginare l'attività nociva del sacerdote".

Matassa elenca tutte le contraddizioni e cita il passo in cui la Corte d'Assise scrive che "è dato affermare che l'omicidio di padre Giuseppe Puglisi rispondeva a una concreta esigenza, dal punto di vista criminale, della famiglia" di Brancaccio, capeggiata all'epoca da Giuseppe Graviano, affiancato dal fratello Filippo, latitante….La cosca mafiosa era nei primi anni '90, saldamente nelle mani dei fratelli Graviano….".

Poi i giudici sottolineano anche che entrambi condivisero e orchestrarono la strategia stragista che vide la mafia sanguinaria protagonista, tra il '92 e il'93, strategia che prevedeva tra gli atti eclatanti anche l'assassinio terroristico del prete. Se la corte ritiene  tutto  ciò,  si  chiede  Matassa,  "perché  alla  fine Filippo Graviano viene assolto sul dubbio che avrebbe potuto non sapere ?"

Riccardo Arena

 

Giornale di Sicilia

8 maggio 2000

Giubileo. Cerimonia ecumenica al Colosseo per ricordare i "testimoni della fede" di tutte le confessioni cristiane, uccisi durante il novecento. Una citazione anche per il parroco di Brancaccio vittima della mafia nel '93.

Il Papa rende onore ai martiri. Nell'elenco pure don Puglisi

Ortodossi di Mosca, di Costantinopoli e di Alessandria, di Romania di Finlandia e Albania; anglicani, luterani, metodisti e pentecostali........................Giovanni Paolo II è riuscito a riunire accanto, al Colosseo, tradizionalmente legato alla memoria dei primi martiri cristiani, una delle assemblee ecumeniche più vaste delle storia della chiesa. Compreso i russi, ed è tutt'altro che usuale.

I rappresentanti di più di un miliardo di cristiani sono venuti ieri a Roma per rendere insieme omaggio ai "testimoni della fede", le vittime delle violenze del secolo orrendo appena concluso. Dai lager nazisti ai gulag comunisti, dai massacri dei missionari in Africa ai bagni di sangue delle dittature militari in America Latina. Non si tratta quindi di uomini già proclamati martiri ufficialmente dalla chiesa cattolica (cosa che avrebbe contrastato col carattere ecumenico della cerimonia) ma di cristiani - sacerdoti e laici - additati ad esempio per le loro scelte di vita e per il sacrificio in coerenza con l'insegnamento di Cristo.

.............Ma, per esigenze di tempo, solo una quindicina di "testimoni" sono stati menzionati ieri esplicitamente dal Papa e la lista completa e definitiva sarà resa nota ad agosto.

Con certezza è stato inserito il nome di don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia il 15 settembre del '93 e per il quale è in corso la fase diocesana della causa di beatificazione. Il suo nome è stato segnalato dalla Chiesa palermitana con un fascicolo biografico e una nota firmata dal Cardinale Salvatore De Giorgi..................c'è chi ha preferito farsi uccidere piuttosto che venir meno alla propria missione......................"Sono tanti questi martiri. - ha aggiunto il Pontefice - La loro memoria non deve andare perduta, anzi il loro esempio indica la strada di un profondo rinnovamento cristiano e dell'unità tra i fedeli di Gesù. Sono testimone io stesso - ha detto - negli anni della mia giovinezza, di tanto dolore e di tante prove. Il mio sacerdozio, fin dalle origini, si è iscritto nel grande sacrificio di tanti uomini e tante donne della mia generazione.

Francesco Deliziosi

 

Giornale di Sicilia

29 giugno 2000

E la Cassazione conferma quattro ergastoli

Ieri la sentenza definitiva per gli esecutori materiali del delitto di sette anni fa

La chiesa perdona, la giustizia degli uomini no: gli assassini di don Pino Puglisi ieri sera si sono visti confermare gli ergastoli per l'omicidio del parroco di Brancaccio. La sentenza, adesso definitiva e irrevocabile, e` stata emessa dalla Corte di Cassazione, che ha rigettato i ricorsi di Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone e Antonino Mangano.

Cosi`, mentre il killer di don Pino, Salvatore Grigoli, dopo aver deciso di collaborare e dopo essersi "pentito" anche in senso religioso (questa e` almeno l'opinione di alcuni sacerdoti e delle gerarchie vaticane su di lui) chiedera` perdono alla chiesa, i complici sconteranno il carcere a vita.

Spatuzza, Lo Nigro e Giacalone, secondo l'accusa, avrebbero partecipato materialmente all'agguato mortale di piazzale Anita Garibaldi, Mangano avrebbe avuto la funzione di tramite fra i mandanti (i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, giudicati in un altro troncone dello stesso processo) e i killer, tra cui c'e` anche Grigoli, colui che materialmente premette il grilletto, anche lui giudicato a parte e condannato a 17 con gli sconti riconosciuti ai collaboranti.

I due processi hanno avuto ritmi diversi: era cominciato per primo quello ai Graviano e a Grigoli, ma si e` concluso solo alla fine del '99 con la condanna all'ergastolo di Giuseppe Graviano, a 17 anni di Grigoli e a 10 anni di Filippo Graviano (assolto dal delitto). Lo Nigro e gli altri sono stati giudicati invece con sentenza definitiva in appena 3 anni.

Ieri il pg della Cassazione aveva chiesto l'annullamento con rinvio per Mangano, ma la Corte l'ha condannato ugualmente.

R. Ar.

 

Giornale di Sicilia

15 Settembre 2000

Brancaccio perde un servizio. Scade il progetto della coop Solaria, chiude lo sportello polifunzionale.

Nell'arco del '99 ben 10 mila cittadini di quella "periferia senza" che è tuttora Brancaccio a dispetto delle grandi promesse fatte nel nome di don Puglisi, hanno trovato in quegli uffici un punto di riferimento insostituibile: per stilare un curriculum, per conoscere le offerte di lavoro, per accedere ai contributi per gli indigenti. Insomma un presidio di legalità.

Un presidio che, a fine mese, verrà smantellato. Motivo? Il progetto che per tre anni ha fatto dell'Ufficio relazioni con il pubblico di Brancaccio-Settecannoli uno sportello polifunzionale scade il prossimo 30 Settembre. E il Comune, che pure è socio dell'iniziativa al 5 per cento non ha alcuna intenzione di muovere un dito per far sì che i cittadini di Brancaccio non siano "scippati" di questo servizio, utilissimo in un territorio a rischio.

La denuncia. amarissima, è arrivata ieri, nell’ambito dei dibattiti - quello del pomeriggio con il mondo del volontariato ha visto la partecipazione del presidente della Commissione antimafia Beppe Lumia – organizzati nel quartiere dal Consiglio della II circoscrizione e dal centro "Padre Nostro" nel settimo anniversario dell’uccisione di padre Pino Pugliesi. A sollevare il caso, il presidente della cooperativa Solaria – la coop che ha tenuto in piedi il servizio – Carmelo Biondi "Il prossimo 30 settembre l’Urp deve chiudere perchè il progetto scade. E il Comune si è reso latitante. Da sei mesi lancio appelli a vuoto, ho cercato invano di contattare il sindaco. Non riesco a trovare un interlocutore. E sono stato costretto, con la morte nel cuore, a mandare le lettere di-licenziamento alle dieci persone che con me qui hanno dato l’anima. E’ troppo facile accendere i riflettori su Palermo per far apparire tutto bello. Nella pratica questa città sta scoppiando. Una denuncia pesante. Che fa il paio con quella di Giuseppe Guida; uno dei collaboratori piu stretti di padre Pino Puglisi. Uno di quei collaboratori, per intenderci, cui nell’escalation di violenza e intimidazione culminata il 15 settembre del ‘93 nell’uccisione del sacerdote venne bruciata la porta di casa: "Non è modo questo — ha tuonato Guida - di ricordare padre Puglisi. Il quartiere è abbandonato. Oggi c’erano qui tre operatori dell’Amia a pulire le strade. Ma un giorno sì e un giorno no io sono costretto ad andare all’Amia per cercare di ottenere la ripulitura delle discariche a cielo aperto. Il degrado cresce, di giorno in giorno. Dove sono tutti quelli - che avevano promesso?". Una lancia a favore dell’Urp l’ha spezzata anche padre Golesano: "Sono testimone di quanto questo sportello sia stato utile alla gente di Brancaccio. E’ un peccato che chiuda..."

Non lascia spazio a speranza la replica dell’assessore Alberto Mangano, contattato telefonicamente visto che nè il sindaco nè nessuno dei suoi assessori si è presentato ai dibattiti: "Non chiude l’Urp. ma si interrompono solo i servizi offerti dalla cooperativa Solaria. L’assessore non può farsi carico dei problemi di una singola coop, devono essere loro a muoversi".

Mariateresa Conti

 

Giornale di Sicilia

15 Settembre 2000

Lumia: "Esempio per tutti"

Da Luciano Violante a Giuseppe Lumia, resta vivo il ricordo di padre Pino Puglisi. Il presidente della Camera ha inviato un messaggio al presidente della II circoscrizione di Palermo, Sandro Terrani, scusandosi di non poter essere presente, "per impegni già assunti in precedenza", alla commemorazione del parroco di Brancaccio, di cui ricorre il settimo anniversario dell’uccisione.

"Padre Puglisi - ricorda il presidente della Camera - sottraeva alla morsa mafiosa giorno dopo giorno i ragazzi e gli adulti della borgata palermitana. La sua opera contribuiva a rendere chiara a tutti gli italiani onesti la possibilità di lottare contro la mafia attraverso l’educazione ai valori morali e civili. La sua opera deve continuare nel lavoro di tutti coloro che credono in un futuro di serenità e di sviluppo".

Per commemorare la figura del sacerdote è giunto a Palermo il presidente della commissione antimafìa Giuseppe Lumia che ha incontrato i rappresentanti del centro e le organizzazioni di volontariato all’auditorium Giuseppe Di Matteo. "Anche nella stessa comunità ecclesiale - ha detto - il suo esempio è da seguire perché è di grande significato l’idea che si può entrare dentro un percorso di santità anche attraverso il martirio vissuto nella trincea dell’antimafia".

Non sono però mancate amare recriminazioni. "Nel quartiere non è cambiato nulla", è l’opinione più diffusa raccolta in un sondaggio a Brancaccio, da Radio Spazio Noi l’emittente della Curia palermitana. Nelle risposte raccolte nella borgata il magistrato Guido Lo Forte ha letto gli effetti di un senso di sfiducia verso lo stato: "Nel ‘93 delitto provocò la reazione del quartiere. In quegli anni l’azione dello Stato era molto intensa e infatti gli assassini furono arrestati, processati e condannati. Quello che è accaduto dopo rischia di farci tornare indietro".

Gia. Pi.

 

Giornale di Sicilia

22 novembre 2000

Già assessore e vice sindaco, oltre che parlamentare Dc, era stato arrestato nel '95 dopo le rivelazioni di alcuni collaboranti. I pm avevano chiesto una pena più pesante

Associazione mafiosa, otto anni all'ex senatore Inzerillo

Una condanna pesante: otto anni per l'ex senatore dc Enzo Inzerillo, accusato di associazione mafiosa. La sentenza della seconda sezione del tribunale è stata emessa alle sette di sera, dopo nove ore di camera di consiglio: secondo alcuni collaboratori di giustizia, Inzerillo, che fu anche vice sindaco e assessore, consigliere comunale di area manniniana, componente di numerose giunte, tra l'83 e il '92, sarebbe stato a disposizione della cosca mafiosa di Brancaccio.

L'imputato non ha voluto fare commenti: i suoi legali, gli avvocati Franco Inzerillo e Giovanni Di Salvo, hanno preannunciato l'appello; sostengono che gran parte delle accuse erano state smentite documentalmente: per verificare una delle affermazioni difensive, il collegio presieduto da Leonardo Guarnotta, a latere Giuseppe Sgadari e Michele Romano, aveva sospeso e rinviato la camera di consiglio. Ma alla fine la condanna è arrivata ugualmente. I pm Antonio Ingroia e Laura Vaccaro avevano chiesto dodici anni.

Inzerillo, rimasto in carcere fino al dicembre del '97, era stato arrestato il 15 febbraio del 1995, due giorni dopo il suo ex capo corrente, Calogero Mannino. Alcuni punti dell'accusa erano comuni: entrambi erano stati tirati in ballo, ad esempio, dallo stesso collaboratore di giustizia, il medico Gioacchino Pennino, politico mafioso dichiarato. Per Inzerillo, però, le accuse del collaborante erano più specifiche e dirette: Pennino aveva sostenuto di averlo visto, negli anni '80, con alcuni boss, anche latitanti, del suo quartiere, Brancaccio-Ciaculli, e aveva aggiunto che lo stesso Inzerillo sarebbe stato "uomo d'onore".

Di una riunione, ma risalente ai tempi più recenti, aveva parlato pure Vincenzo Sinacori. Il collaborante di Mazara del Vallo aveva affermato che l'imputato, nel febbraio '94, avrebbe partecipato ad un summit con un gruppo di boss, cui lo stesso Inzerillo avrebbe consigliato di farla finita con la strategia delle bombe.

La difesa aveva sostenuto però che Sinacori era smentito dal fatto che uno dei presunti partecipanti a quel summit, Gioacchino Calabrò, di Castellamare del Golfo, in quel periodo era in carcere: il tribunale aveva sospeso la camera di consiglio, per acquisire un certificato che aveva confermato l'assunto difensivo. Ieri mattina il pm Ingroia ha ribadito però che la circostanza in se voleva dire poco, dato che Sinacori non ricordava con precisione il periodo della riunione. Gli avvocati Inzerillo e Di Salvo avevano riaffermato, invece, che la mancanza di precisione e di univocità renderebbe non credibile l'accusa.

Contro l'imputato c'erano anche le dichiarazioni di Giovanni Drago e Salvatore Cancemi. Il primo, killer di Brancaccio, aveva sostenuto di avere saputo da Giuseppe Graviano, boss della zona, che Inzerillo, all'epoca in cui era assessore comunale, avrebbe ottenuto tangenti da alcuni costruttori per dare il via libera alla realizzazione di edifici nel quartiere. Inzerillo è imputato pure in altri processi perchè avrebbe favorito l'acquisto di palazzi del costruttore Mimmo Federico, ad esempio. "Ma noi - avevano replicato i legali - abbiamo le prove documentali che mai il Comune acquistò beni di Federico...".

Oggetto del dibattimento anche la presunta richiesta, fatta dall'ex senatore al notaio Pietro Ferraro, perchè facesse assolvere i killer del capitano Basile. Ferraro, in un colloquio con il presidente della Corte d'assise, avrebbe parlato di un "Enzo, deputato manniniano, trombato alle elezioni". In due rapporti della Dia, risalenti al febbraio - marzo del 1992, Inzerillo venne definito "deputato in carica": in realtà allora era un semplice consigliere comunale. Non fu mai "trombato", neanche - sostiene la difesa - nel senso di essere stato estromesso dalle liste.

R. Ar

 

Giornale di Sicilia

11 dicembre 2000

Arriva dalla Svizzera la sfida della legalita`

Frontiera Brancaccio

L'eroe del Centro Padre nostro è un detenuto nel carcere di Pagliarelli, si chiama Rosolino, ha 27 anni e gli eredi di don Pino Puglisi lo considerano "il più bravo della classe". Di quella grande classe popolata di elettricisti che adesso si sono laureati in teologia e insegnano religione, di ragazzini di Brancaccio che per provare come funziona il resto del mondo sono stati mandati a studiare in Svizzera, di ex ladri diventati onesti, ex bambini a rischio oggi sulla via del lavoro, tutta una classe di salvati e salvatori che sta crescendo all'ombra di don Mario Golesano nell'era dopo Puglisi.
Rosolino è un drogato che due anni fa si presenta alla porta del centro Padre nostro. Quasi lo mandano via, il centro non è attrezzato per le tossicodipendenze. Rosolino insiste, dice che è disperato, don Mario guarda i suoi collaboratori più stretti, Antonio Di Giovanni, Maurizio Artale, di colpo decidono di aprirgli le porte. Lo ospitano a dormire, assumono tre infermieri per l'assistenza nelle 24 ore, lo disintossicano, poi per sei mesi alla Casa Rosetta. Rosolino torna in città, trascorre qualche mese, la polizia lo trova totalmente fatto dentro un cassonetto dell'immondizia. L'ospedale, gli arresti, e intanto diventa operativa una vecchia condanna per spaccio di droga. Oggi Rosolino è a Pagliarelli, scrive al centro Padre nostro e dice che ha assorbito il bene. E' diventato un detenuto modello, studia, lavora, racconta le sue giornate in carcere, gli è stata assegnata la cura di un altro detenuto che non può camminare e si occupa di lavarlo, dare da mangiare, l'ora delle pillole. E continua a scrivere al Centro Padre nostro, "sono cambiato".
Migliaia di brave persone a Brancaccio, dice padre Golesano, basta dargli qualcosa: "La gente qui, se ha la possibilità di fare una vita normale, diventa gente normale". Il mito della normalità è l'obiettivo di un quartiere dove tutto è eccezionale e fuori controllo, dal codice della strada a quello civile a quello penale. "Prendiamo la via Fichidindia", dice Maurizio Artale.
In via Fichidindia c'è il senso unico da via Oreto a Via Brancaccio, ma non lo rispetta nessuno. Prima rompevano il cartello, adesso non ne tengono conto. O prendiamo l'abusivismo del commercio: a Brancaccio i vigili urbani hanno sequestrato la merce di alcuni bancarellari sul marciapiede, la merce è stata dirottata al Padre nostro per opere di bene, e una parte è stata assegnata alla madre di un bancarellaro iscritta nell'elenco degli indigenti. Se ne sono accorti da tre melanzane di forma strana che hanno fatto il giro di tutti i problemi di Brancaccio: erano sulla bancarella dell'abusivo e sono andate a finire nella cucina dell'abusivo. Al Centro ogni settimana seicento persone ricevono gli esuberi dei grandi supermercati, olio, spaghetti, formaggio, biscotti. Negli ultimi anni cinquecento bambini hanno fatto la colonia estiva in Svizzera, per una convenzione con il centro Pestalozzi di Trogen. Ci sono le gite in pullman di figli e mamme, c'è il progetto di due centri anziani.
Al Centro, l'ultimo personaggio celebre lo hanno visto nel marzo scorso, quando è venuto il presidente della Repubblica Ciampi a inaugurare la scuola per la quale don Pino si era battuto. "E questo spiegamento di forze ha confermato che a Brancaccio la normalità è un mito: un presidente viene ad inauguare una scuola, cosa che tutti i ragazzi d'Italia hanno e che qui diventa un ponte sullo stretto".
Ciampi ha visto la Brancaccio "uno" e non la "due", che è quella degli sfrattati, gli ex della Palermo che crolla e che il Comune, negli anni, ha trasferito nei casermoni di via Azolino Hazon dove non pagano l'affitto, dove sono tutti morosi dell'acqua e si riforniscono alla fontana, dove i campanelli e i citofoni non funzionano. E i magazzini restano scenario da film sulla Palermo che non può cambiare.
O prendiamo per esempio la mafia. A Brancaccio i Graviano sono in carcere ma i loro sostituti contano e comandano, sono 203 gli affiliati schedati negli elenchi della Procura: 203 uomini d'onore con nome, cognome e indirizzo a Brancaccio, il record fra tutti i quartieri di Palermo. E ancora tutti, salvati e salvatori, aspettano che lo Stato si faccia sentire, "che dica a Cosa nostra "questo territorio è mio". Far rispettare le leggi, operare e correre, "correre - dice padre Golesano - perchè la mafia vincerà sempre fino a quando essa agirà rapidamente e lo Stato impiegherà dieci anni per dare una scuola o un campo sportivo".
Sport, tempi lunghi, sconfitta. "Il nostro ringraziamento va all'amministrazione comunale che ha dato a Brancaccio una palestra dove però non si può giocare al pallone (il tetto è troppo basso), e grazie anche per l'auditorium", ma è grossa la ferita di due progetti falliti: "Non abbiamo un posto dove far giocare i bambini". Un campetto in via Conte Federico, inaugurato nel '98 è rimasto senza la sorveglianza dei lavoratori socialmente utili, oggi è vandalizzato, "hanno rubato perfino i water e le finestre e nel '99 abbiamo riconsegnato le chiavi al Comune". E' in alto mare il progetto di un campo polivalente in un terreno ottenuto in regalo. "Abbiamo avuto venti milioni dal presidente della Repubblica, dieci dal presidente della Camera Luciano Violante, ma realizzarlo costa più di un miliardo. Speriamo nel prefetto Renato Profili, che lo finanzi con i miliardi confiscati a Cosa nostra".

Le cose positive a Brancaccio sono tredici ragazzi tornati dalla Svizzera, quasi parlano tedesco, pensano europeo, tre fanno gli apprendisti argentieri, due vanno a scuola di ottica a spese del Centro. La festa è quando arriva una lettera dal carcere di Pagliarelli. "Io, Rosolino, oggi sono un altro". E dal Centro gli rispondono: adesso che ti sei tolto dalla testa la droga e lavori, sei uno che vale, una brava persona di Brancaccio, Rosolino, sei uno svizzero.

Delia Parrinello

 

Giornale di Sicilia

5 gennaio 2001

Puglisi, il pg: "Ergastolo ai Graviano"

Sono colpevoli tutti e due: Giuseppe e Filippo Graviano ordinarono l'omicidio di don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso il 15 settembre del 1993. Ne è convinto il sostituto procuratore generale Francesco Lo Voi, che nel processo d'appello ha chiesto la massima pena per entrambi. In primo grado era stato condannato all'ergastolo solo Giuseppe Graviano, mentre Filippo era stato assolto dal delitto e condannato per associazione mafiosa a dieci anni. Diciotto anni erano stati inflitti invece a Salvatore Grigoli, killer reo confesso. E per lui il pg ha chiesto la conferma della condanna.

La sentenza della Corte d'assise, emessa il 5 ottobre di due anni fa, era stata appellata dal pubblico ministero di primo grado, Lorenzo Matassa, e dal pg Lo Voi, perche`‚ ritenuta contraddittoria: Giuseppe Graviano era stato condannato perche`, da capo del mandamento di Brancaccio, avrebbe ordinato l'assassinio del sacerdote. Il fratello Filippo, invece, sarebbe stato in una posizione più defilata, rispetto al mandamento e dunque non avrebbe avuto responsabilità per l'omicidio. Un delitto considerato "eccellente" e per il quale, secondo le regole di Cosa Nostra, sarebbe necessario l'ordine dei capimafia della zona.

I giudici della Corte d'assise si erano basati sulle dichiarazioni di Grigoli e degli altri collaboranti ascoltati nel corso del dibattimento. Avevano ritenuto così che solo nei confronti di Giuseppe ci fossero elementi certi per arrivare a un giudizio di colpevolezza.

In un giudizio parallelo, già chiuso con la sentenza definitiva di condanna all'ergastolo dei quattro esecutori materiali, si dà per certo invece che a ordinare l'assassinio del prete siano stati entrambi i fratelli. La Corte d'assise, nel processo ai Graviano e a Grigoli, aveva affermato che "non può neppure escludersi che il Filippo potesse avere, rispetto al fratello, una diversa opinione sul modo di arginare l'attività nociva (per la famiglia mafiosa, ndr) del sacerdote...". Lo Voi ha sottolineato le contraddizioni della sentenza, visto che gli stessi giudici avevano affermato che l'omicidio Puglisi "rispondeva a una concreta esigenza, dal punto di vista criminale, della "famiglia" capeggiata all'epoca da Giuseppe Graviano, affiancato dal fratello Filippo, entrambi latitanti...". Ambedue vengono considerati dunque capi e per questo il pg vuole la massima pena per tutti e due.

R. Ar.

 

Giornale di Sicilia

20 febbraio 2001

In primo grado era stato assolto dall'accusa di essere il mandante del delitto del prete. La sentenza d'appello conferma il carcere a vita per il fratello Giuseppe

Don Puglisi. Ergastolo a Filippo Graviano

L'omicidio di don Pino Puglisi fu ordinato da entrambi i fratelli Graviano, boss di Brancaccio. Lo ha deciso la prima sezione della Corte d'assise d'appello, presieduta da Innocenzo La Mantia, che ha annullato l'assoluzione di Filippo Graviano (decisa dai giudici di primo grado), condannando anche lui, oltre al fratello Giuseppe, al carcere a vita.
Dalla Corte d'assise Filippo Graviano era stato condannato a dieci anni solo per associazione mafiosa: per il delitto i giudici avevano ritenuto insufficienti gli indizi a carico del boss di Brancaccio. Adesso la sentenza è stata modificata. Confermati invece la massima pena per Giuseppe Graviano e i sedici anni inflitti al collaboratore di giustizia Salvatore Grigoli, reo confesso del delitto, avvenuto il 15 settembre del 1993.
L'appello contro la sentenza era stato presentato dal pm che aveva seguito il dibattimento in assise, Lorenzo Matassa e dal pg Antonino Gatto. In aula la richiesta di ergastolo era stata sostenuta dall'altro pg Franco Lo Voi. I rappresentanti dell'accusa avevano affermato l'incongruenza della tesi portata avanti dai giudici di primo grado, che avevano considerato capo del mandamento mafioso di Brancaccio - e come tale mandante unico del delitto "eccellente" - solo Giuseppe Graviano.
I difensori, gli avvocati Franco Inzerillo, Giuseppe Oddo e Ninni Giacobbe, hanno preannunciato il ricorso in Cassazione. Nelle loro arringhe finali avevano sostenuto che contro i loro clienti c'erano solo le accuse di collaboranti come Grigoli e Pasquale Di Filippo, che avevano riferito informazioni (secondo i legali estremamente vaghe) apprese da altri, dunque "de relato".
L'accusa aveva sempre sostenuto invece che le dichiarazioni erano state estremamente precise e che i boss di Brancaccio, attraverso Antonino Mangano (condannato in un altro troncone dello stesso processo), avevano trasmesso l'ordine di uccidere il parroco di San Gaetano. Don Pino era inviso ai boss, per la sua testimonianza del Vangelo viva e concreta, tra la gente e i ragazzi del quartiere, per il suo rifiuto di qualsiasi tipo di compromesso con i boss. Il suo omicidio si inserisce tra l'altro, secondo il pm Matassa, in una strategia di attacco della mafia alla Chiesa, espressa già con gli attentati del luglio 1993 a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio in Velabro, a Roma. Oltre a Mangano, sono già stati condannati con sentenza definitiva all'ergastolo anche altri tre esecutori materiali: Luigi Giacalone, Cosimo Lo Nigro e Gaspare Spatuzza.
Soddisfazione per la sentenza della Corte d'assise d'appello è stata espressa dal presidente della commissione Antimafia, Giuseppe Lumia, e dal capogruppo del Ppi nello stesso organismo parlamentare, Giuseppe Scozzari: la decisione, sostengono in sostanza in due distinte note, rende giustizia alla memoria di don Pino.

Riccardo Arena

 

Giornale di Sicilia

6 marzo 2001

Don Puglisi, martirio annunciato

Don Giuseppe Puglisi sapeva di andare incontro alla morte, ma trovò il coraggio di andare avanti, tra minacce e intimidazioni. Lo racconta il suo killer reo-confesso, lo rivelano i suoi discorsi e le sue lettere inedite, lo ricordano i suoi amici più fidati.

La consapevolezza del primo martire antimafia è il filo conduttore che attraversa tutto il nuovo libro del capocronista del Giornale di Sicilia, Francesco Deliziosi, "Don Puglisi - Vita del prete palermitano ucciso dalla mafia", edito dalla Mondadori, da oggi nelle librerie, che sarà presentato il prossimo 14 marzo alle 18.30 presso la chiesa del Santissimo Salvatore a Palermo.

Un centinaio di documenti inediti, testimonianze dirette, appunti manoscritti, omelie, relazioni, discorsi registrati nei campi-scuola con i ragazzi, lettere, verbali, raccolti nei sette anni successivi alla morte del parroco di Brancaccio, tracciano un ritratto originale di don Puglisi. La fase diocesana del processo di beatificazione, voluto fortemente dal cardinale Salvatore De Giorgi, si chiuderà entro la prossima Pasqua e questa biografia, scritta da un giornalista che lo conobbe personalmente e collaborò con lui nella difficile realtà di Brancaccio nei primi anni Novanta, arriva per far conoscere parallelamente la sua straordinaria lezione di amore e di non violenza, il carisma di educatore, la preparazione culturale e teologica, la capacità di dialogo. Il suo martirio è il prezzo della fedeltà a Cristo in ogni tempo. Non a caso il Vaticano ha inserito il suo nome nell'elenco stilato in occasione della cerimonia giubilare ed ecumenica del 7 maggio 2000 al Colosseo, in memoria di tutti i "testimoni della fede del Novecento".

E don Puglisi era disposto al sacrificio della vita, di più, sapeva che sarebbe stato ucciso. Il killer Salvatore Grigoli racconta di essere rimasto colpito, quella sera del 15 settembre 1993, dal sorriso sul volto della sua vittima, che accolse quel proiettile nella nuca con un inequivocabile "me l'aspettavo".

I suoi collaboratori ricordano di averlo avvertito più volte di fare attenzione, di non pestare troppo i piedi dei clan di periferia. Ma lui rispondeva sempre: "Il massimo che possono fare è ammazzarmi. E allora? Io non posso tacere". Come se la morte non gli facesse paura, neppure quando gli attentati si ripeterono a catena, contro di lui e contro i suoi sostenitori: porte di casa bruciate ai volontari, aggressioni per strada e minacce a un giovane, Tony L.. Don Puglisi stesso si trovò le ruote dell'auto tagliate e un labbro spaccato, ma sdrammatizzava dicendo che si trattava di herpes. Negli ultimi tempi, però, impediva agli amici di andarlo a trovare di sera, perche`‚ "qualcuno" avrebbe potuto disturbarli, e soffermava le sue riflessioni spirituali sul tema della morte. "Avrebbe potuto salvarsi?" viene da chiedersi, magari denunciando le minacce subite. "Sono domande senza risposta - conclude l'autore -. Si può tentare, però, di abbozzare un ragionamento: se fosse uscito allo scoperto, don Puglisi avrebbe potuto ottenere un trasferimento oppure una scorta. Nel primo caso il sacerdote si rendeva conto che la comunità di Brancaccio, ancora immatura, e i suoi collaboratori sarebbero stati sconfitti. Il buon pastore non abbandona il suo gregge. La seconda ipotesi gli risultava del tutto estranea: altre vite innocenti messe a rischio".

Alessandra Turrisi

 

Repubblica

20 marzo 2001

Gli amici di Don Puglisi: "Tentativi di normalizzazione"
Lettera aperta del comitato intercondominiale di Brancaccio al convegno di Acireale
la denuncia

"Troppi silenzi nella Chiesa"

Il martirio di don Pino Puglisi divide ancora. In una lettera aperta ai vescovi e ai sacerdoti che, da questa mattina fino a sabato, si riuniscono ad Acireale per il quarto convegno delle chiese di Sicilia, alcuni dei collaboratori più stretti del parroco ucciso dalla mafia tornano a porre un sofferto interrogativo: "Quali resistenze incontrò dentro la curia palermitana la pastorale di don Puglisi, specialmente quando divenne più incisiva per via della sua intensa collaborazione con un gruppo di abitanti che si era riunito nel comitato intercondominiale di via Hazon ?"

Sono proprio i componenti di quella associazione a firmare la lettera, Pino Martinez, Giuseppe Guida e Mario Romano. Ma l'hanno sottoscritta anche l'ex vice parroco di San Gaetano, Gregorio Porcaro, e uno dei più stretti collaboratori di Puglisi, Giuseppe Carini.

La "sofferta riflessione", come la chiamano i firmatari della lettera, polemizza con il vicario ausiliare della curia di Palermo, monsignor Salvatore Di Cristina, che alla presentazione del libro su don Puglisi, scritto dal giornalista Francesco Deliziosi, aveva parlato di "perfetta sinergia" fra il parroco di Brancaccio e il resto della chiesa siciliana. "Alla fine - si sostiene nella lettera aperta - viene fuori l'equazione che don Puglisi era la perla più splendente della Chiesa palermitana la quale agiva con spirito unitario. Noi possiamo affermare - scrivono Martinez e gli altri - che una parte della Chiesa palermitana ha, invece, contribuito ad isolare padre Puglisi".

Ieri pomeriggio monsignor Di Cristina ha voluto replicare alla lettera, ribadendo la sua affermazione. Non è d'altro canto la prima volta che i rappresentanti del comitato denunciano l'isolamento in cui si sarebbe trovato ad operare il parroco ucciso dalla mafia il 15 settembre del '93. Lo hanno detto alle due corti d'assise che hanno condannato mandanti ed esecutori materiali del delitto. Martinez lo ha ribadito ai giudici del tribunale ecclesiastico che stanno istruendo la causa di beatificazione.

Un episodio chiama in causa anche il cardinale Pappalardo: "Il 10 luglio, padre Puglisi e i componenti della costituenda confraternita andarono in Arcivescovado per un appuntamento con il cardinale. Bisognava evitare che personaggi vicini all'ambiente mafioso avessero la possibilità di inserirsi nell'organismo parrocchiale. Quel giorno Puglisi voleva dimostrare di avere il sostegno della più alta autorità della Chiesa palermitana. Ma l'appuntamento non fu rispettato". Dalla sua residenza di Baida, Pappalardo smentisce però che quel giorno avesse un appuntamento con la delegazione di Brancaccio.

"Nulla è cambiato - è l'amara conclusione della lettera - . Tuttora all'interno della Chiesa palermitana è in corso un tentativo di normalizzazione".

Salvo Palazzolo

 

Giornale di Sicilia

20 marzo 2001

Don Puglisi isolato dalla Chiesa ? Nuova polemica

"Padre Puglisi fu lasciato solo, isolato da una parte della Chiesa palermitana". Dopo sette anni dall'omicidio del parroco di Brancaccio, ritornano alla carica i componenti dell'Associazione intercondominiale. Hanno scelto l'occasione della presentazione del nuovo libro sulla storia del prete-martire e la vigilia del IV Convegno delle Chiese di Sicilia per lanciare nuove accuse contro i vertici della comunità ecclesiale. E si rivolgono ai vescovi, ai sacerdoti e ai laici che da oggi saranno riuniti ad Acireale: "Monsignor Di Cristina ha affermato che padre Puglisi ha agito a Brancaccio secondo lo spirito del concilio presente nella Chiesa palermitana. Il Papa, i vescovi, il cardinale e i presbiteri della diocesi si muovevano in perfetta sinergia secondo questa linea. Alla fine viene fuori l'equazione che padre Puglisi era la perla più splendente della Chiesa palermitana, la quale con spirito unitario agiva per difendere la dignità degli uomini dall'oppressione del sistema politico-mafioso. Noi possiamo affermare - affermano Pino Martinez, Gregorio Porcaro, Giuseppe Guida, Giuseppe Carini e Mario Romano - sulla base della nostra esperienza, che una parte della Chiesa ha contribuito ad isolare padre Puglisi in vita".

Respinge questa ipotesi il vescovo ausiliare monsignor Salvatore Di Cristina: "Ma cosa ci guadagnano a tornare su quelle polemiche? La Chiesa nel suo insieme era contro il sistema mafioso, possono esistere frange che non la pensano così, ma nessuno di questi singoli è mai stato contro don Puglisi. La verità è che loro non accettano ancora il fatto che la Chiesa non si costituì parte civile al processo. Ma quel gesto non fu capito: la Chiesa deve essere madre di tutti".

I firmatari della lettera aggiungono che dopo una serie di atti imtimidatori non arrivò nessun segno di solidarietà, anzi "il 10 luglio del '93 padre Puglisi e i componenti della confraternita che si stava costituendo sono andati in arcivescovado per un appuntamento con il cardinale Pappalardo. Bisognava evitare che personaggi vicini all'ambiente mafioso avessero la possibilità di inserirsi nell'organismo parrocchiale. Un appuntamento che non fu rispettato dall'arcivescovo". Ricorda bene quel giorno il cardinale Salvatore Pappalardo: "Loro vennero, ma senza un appuntamento. Io stavo uscendo con la macchina e potei incontrarli solo di sfuggita. Don Puglisi solo ? E' un ritornello che si ripete per tutti i morti di mafia".

Alessandra Turrisi

 

Repubblica

5 aprile 2001

Il 6 maggio la prima cerimonia in chiesa

Don Puglisi presto beato

Il cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo di Palermo, il 6 maggio annuncerà solennemente in cattedrale la chiusura positiva della fase diocesana del processo di beatificazione di don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993. Il carteggio sarà inviato in Vaticano per la decisione del Papa.

Il primo sì al riconoscimento del martirio del prete arriva dalla Chiesa palermitana dopo un'istruttoria aperta nel settembre del 1999. La commissione nominata da De Giorgi (coordinata dallo storico Francesco Stabile e della quale fanno parte il vescovo ausiliare Salvatore Di Cristina e il giornalista Francesco Deliziosi) ha raccolto una quarantina di testimonianze tra amici, familiari e collaboratori del sacerdote.

Tra gli incartamenti vi sono anche gli scritti editi e inediti del religioso, gli estratti degli atti giudiziari, comprese le confessioni del suo sicario, Salvatore Grigoli, oggi collaboratore di giustizia, già condannato per l'omicidio ordinato dai boss di Brancaccio Graviano.

La scelta della data per comunicare la conclusione del processo non è casuale: il 6 maggio è dedicato dalla Chiesa al Buon Pastore che non abbandona il gregge davanti ai lupi, immagine evangelica rievocata da più parti per sottolineare il sacrificio di questo parroco di frontiera.

 

Giornale di Sicilia

12 aprile 2001

"Brancaccio" di Gianfranco Albano e le polemiche.

Don Puglisi tra realtà e "fiction": applausi e critiche sul film tv

Dopo la proiezione in anteprima della fiction di Raiuno interpretata da Ugo Dighero - la prima puntata è andata in onda ieri sera, stasera toccherà alla seconda -, fioccano le note aspre: punto dolente, la figura religiosa di don Pino e il suo impegno contro la mafia. Dalla Curia non arriva nessun commento ufficiale. Ma negli ambienti vicini a don Puglisi la fiction non è piaciuta granche`. Scrive Pino Paliaga, amico del sacerdote e curatore del sito dedicato alla figura del parroco di Brancaccio (www.padrepinopuglisi.net): "Coloro che lo hanno conosciuto, oggi non rivedranno "3P" (come affettuosamente era chiamato don Pino). "Brancaccio" è una bella pellicola sulla Sicilia, sulla mafia, ma dov'è la calma di 3P? la sua tenerezza, la sua "gioia", il suo amore per la Parola? Chi lo ha conosciuto sa che non ha mai gridato, tantomeno in chiesa, rinunciando a leggere il Vangelo".

Fa eco a Paliaga, Paolo Agnilleri, ex dirigente storico dei Ds, figura nota a Brancaccio e attuale dirigente della Cgil, che invece punta il dito sul pericolo - già sottolineato durante la proiezione dal sostituto Lorenzo Matassa - di fare il gioco di coloro che vollero sporcare la figura di don Pino col sospetto che fosse uno "sbirro": "Puglisi non venne qui per fare la lotta a chissà chi, era un prete normale che si trovò in terra di mafia. La fiction dà la sensazione che lui volesse fare solo la lotta alla mafia e non portare avanti la sua pastorale, all'interno della quale - questo sì - incontra e dice no alla mafia. Sembra quasi che il film rappresenti più la figura del suo predecessore, Rosario Giuè. Puglisi era semplicemente un prete non omologabile. E' il suo atteggiamento positivo che diventa anomalia, quindi scomodo per la mafia".

"Ho trovato il film molto positivo - interviene il successore di don Pino, don Mario Golesano -, non celebra un Puglisi alla memoria, ma mostra i cambiamenti che ha provocato la sua attività. Mi chiedo cosa voglia ottenere chi divide l'uomo di chiesa e l'uomo di contemplazione, non si può separare l'operatore pastorale e l'educatore sociale: e lo prova il fatto che don Pino avesse pensato, per il suo centro, ad un luogo in cui evangelizzazione e promozione umana si unissero. Credo che il regista abbia intuito la natura della vera malattia siciliana, il film non parla di Brancaccio, ma di tutti i luoghi della terra dove si deve far sentire la voce; fa vedere un don Pino isolato, non compaiono il cardinale ne‚ le istituzioni dello Stato, se non quelle corrotte. Non vorrei che le controletture nascessero da chi si sente toccato dalla fiction. Se è vero - come è vero - che Brancaccio è terra di mafia, dovevano arrivare don Pino e un plotone di preti. Non dimentichiamo che la scuola di don Pino fu inaugurata solo il 12 gennaio 2000".

Di tenore diverso la polemica scoppiata tra l'attuale gestione del Centro Padre Nostro e l'Intercondominio, non invitato alla proiezione. Il gruppo di vecchi collaboratori di don Pino sottolinea l'uso di "parole sprezzanti per dare il benservito a chi ha subito più volte la violenza mafiosa per tentare di dare un volto nuovo a Brancaccio - spiega Pino Martinez, uno dei fondatori -. Per quanto riguarda la nostra mancata collaborazione con il successore di padre Puglisi, non abbiamo voluto accettare di diventare uno strumento della parrocchia di padre Golesano e della politica, in linea con ciò che ci ha insegnato padre Puglisi che voleva una chiesa povera, attenta ai bisogni del quartiere". I dirigenti del centro Padre Nostro avevano spiegato di non aver invitato l'Intercondominio "perche` in questi anni aveva prodotto solo sterili polemiche".

Simonetta Trovato

 

L’ORA

12 aprile 2001

Parla Giuseppe Carini, allievo di don Pino Puglisi e racconta la vera storia del prete contro la mafia

Padre Puglisi tra silenzi e complicità

"La fiction è fiction ma la realtà è ben diversa. Don Pino lottò per dare dignità agli abitanti di una borgata terrorizzata dai Graviano

Una lunga chiacchierata con Fabio, l'amico d'infanzia. Fabio sapeva che Giuseppe Carini frequentava gli "amici degli amici". In piazza a Brancaccio, una sera gli domandò se poteva aiutarlo. "Non so cosa mi stava accadendo - dice Giuseppe - sentivo dentro qualcosa che mi toglieva il respiro". "E' arrivato da poco un nuovo parroco", disse Fabio e lo invitò ad incontrarlo, voleva farlo uscire da una spirale infernale. "Appena don Puglisi mi vide - racconta Giuseppe Carini - mi disse se volevo occuparmi dei bambini, per un'ora alla settimana. Non volevo. Poi accettai . Mi fregò. Ho passato giorni interi con loro".

Giuseppe è stato un allievo di don Pino Puglisi. Oggi ha 31 anni e vive in una località segreta. E' inserito nel programma speciale di protezione. Matteo, un amico fraterno, a metà degli anni '90, fu testimone di un omicidio e gli confidò tutto quello che vide. Insieme decisero di andare a raccontare tutto agli inquirenti, tranciando di netto i rapporti con le rispettive famiglie. Da allora vive blindato in una città segreta. Con padre Puglisi, le esperienze più importanti sono state quelle con i bambini. "Avevamo fondato l'associazione sportiva San Gaetano - dice Giuseppe - aperta a quei bambini che vivevano in via Azzolino Hazon e in via Scaglione. Ragazzi cioè che crescevano in un contesto familiare precario". Quella esperienza ci impegnò per molti anni" .

La vostra storia, quella di don Puglisi, dei bambini e dell'assassino Grigoli, è diventata una fiction televisiva.

"Se è una fiction la guardo come tale, ma non mi piace e lo trovo vergognoso risaltare la figura di un killer come di uno che, proprio perché ha avuto problemi da piccolo, è diventato un criminale. E' una follia. Ma c'è ancora qualcuno a Palermo che ha il coraggio di scandalizzarsi?"

Dal film pare che Puglisi abbia avuto contatti quotidiani con la polizia. Lo conferma?

"Lo smentisco categoricamente perché io sono di Brancaccio, sono nato e cresciuto lì, conosco gli amici degli amici di Cosa nostra, perché anche nella mia parentela ce ne sono. Le posso assicurare con certezza assoluta che la faccia da sbirro la so riconoscere. Il rapporto che avevamo con le istituzioni era formale.

Cosa ha rappresentato quella esperienza per Brancaccio?

"Siamo stati un nuovo punto di riferimento alternativo a quello della criminalità e ai Graviano. Con l'arrivo di Puglisi abbiamo cercato di tirare fuori la dignità delle persone".

Tutto ciò è stato visto come una minaccia?

"L'omicidio di padre Puglisi non può essere letto al di fuori del contesto delle bombe, della strategia della tensione messa in atto da Cosa nostra dal '92 al '94. Ha ragione il Pm Lorenzo Matassa quando dice che l'omicidio di don Pino va inquadrato nella strategia di attacco allo Stato dei corleonesi. Nel '94 dissi pubblicamente che per quell’omicidio avevano deciso più persone e non solo i Graviano. Molti fecero finta di non capire".

Lei pensa quindi a qualcosa di più che un omicidio di un prete scomodo?

"Probabilmente ci vorrano ancora degli anni ma le cose usciranno fuori.Verranno fuori silenzi e complicità. Verrà fuori che il cardinale Salvatore Pappalardo ha mentito su tutta la linea. Come è possibile che un prete viene assassinato e nessuno sa dare informazioni utili agli inquirenti?

Strano..

"Ma le dico ancora di più. Dieci giorni prima dell'omicidio di padre Puglisi partì dal Viminale un allarme a tutti i commissariati che diceva che c'erano nel mirino della mafia uomini della chiesa. Su questo allarme la Curia ha sempre minimizzato, o peggio ha fatto finta di nulla".

Sono tante le cose non dette?

Don Mario Renna, che allora era semplice sacrestano nella parrocchia di San Gaetano, ha mentito per esempio quando non ha detto alla magistratura che, tramite lui, padre Puglisi aveva incontrato il costruttore Gianni Ienna, prestanome dei fratelli Graviano. C'era, infatti, la costruzione del centro di accoglienza, e Gianni Ienna disse a Pino Pugliisi: 'se io le do in cambio qualche mattone lei che mi dà?' Puglisi gli rispose che non aveva bisogno di nulla. Fu il primo no. Queste cose non le hai mai dichiarato ai magistrati.

Ci sono altri lati oscuri in questa vicenda, altri silenzi?

C'è un episodio che è relativo alla nascita della confraternita del quartiere. Don Pino Puglisi chiese che qualora si presentavano persone assai vicine ai Graviano si doveva dire di no. Sulla base di questo presupposto decidemmo di fare la confraternita. Fissammo l'appuntamento con il cardinale ma lui, sul portone della Curia, non volle parlare con noi e se ne andò.

Ci sono altre circostanze strane?

Il cardinale disse agli inquirenti, dopo l'omicidio di Puglisi, di non sapere nulla degli attentati intimidatori agli inquilini di via Hazon e delle difficoltà incontrate da padre Pino. Pappalardo sapeva tutto. Glielo aveva detto del resto lo stesso parroco di Brancaccio. Lui oggi nega questa vicenda".

Cosa ricorda degli ultimi giorni di vita di don Pino?

"Nell'ultimo periodo tutto fu chiaro. La cosa che più mi piace ricordare è l'affetto smodato nei nostri confronti. Era come se sentiva che presto ci doveva lasciare".

L'ultima volta che vide Puglisi, fu in un'occasione non proprio normale.

"Si, io ho assistito all'autopsia di Puglisi. E' stata una sua richiesta. Ero studente della facoltà di Medicina e chirurgia e frequentavo l'istituto di medicina legale Lui sapeva che frequentavo quell'istituto e dopo avermi chiesto come si svolgeva un'autopsia mi disse che, se lo avessero ammazzato, gli dovevo stare vicino. 'Stammi vicino e non mi lasciare' mi disse e io ho mantenuto la promessa. Non è stato uno spettacolo bella, ma glielo avevo promesso".

Subito dopo la morte di don Pino, cosa successe a Brancaccio?

Le suore del quartiere, che avevano avuto un ruolo determinante nell'instaurare un rapporto di fiducia tra gli abitanti e la parrocchia sono andate via. Il comitato intercondominiale nato attorno a Pino Puglisi si è giustamente defilato. Molti che oggi parlano di don Pino e lo riscono nel film non l'hanno mai conosciuto. Non sono neppure di Brancaccio. Mi fa rabbia non potere essere a Palermo per dire le cose come realmente stanno".

Simone Di Stefano

 

Giornale di Sicilia

13 aprile 2001

"Brancaccio" record di telespettatori. Gli amici di don Puglisi: ma Pino dov'è?

Nel giorno del successo, "Brancaccio" continua a suscitare polemiche. L'altra sera la fiction di Raiuno firmata da Gianfranco Albano e dedicata alla figura di don Pino Puglisi, ha ottenuto il 26,18 di share, collezionando sette milioni e 108 mila telespettatori, battendo il "Giuda" di Canale 5, seguita da circa cinque milioni e mezzo di spettatori (19,88 di share). E Raiuno attende un risultato maggiore per la messa in onda di ieri sera.

Ma il successo di pubblico non sembra aver sedato le note polemiche che si inseguono a Palermo. Primo fra tutti il commento del fratello di don Pino, Francesco Puglisi. "Ho visto la prima parte l'altra sera, penso sia un film di mafia, punto e basta, di padre Puglisi hanno sfruttato solo il nome - spiega -. Da "Brancaccio" non esce il Pino che conoscevo, capisco l'esigenza di costruire una fiction televisiva, la capisco e la giustifico, ma è stato sfruttato il fatto di cronaca. Ciò non toglie che il sacerdote del film sia un uomo positivo, e che io ricordo più mio fratello che il prete. Vero è il suo amore per i libri, possedeva una stanza tappezzata di volumi".

Lei ha incontrato Piero Calderoni.
"Ho raccontato qualcosa sul carattere di mio fratello ma penso lui ne abbia preso ben poco. Gli avevo chiesto di farmi leggere il copione, non si sono più fatti vedere".
E se il cardinale Salvatore Pappalardo spiega di non aver visto la prima puntata di "Brancaccio" perchè‚ "mi è bastato vivere una volta questi avvenimenti, e dal vivo", non ha peli sulla lingua Gregorio Porcaro, l'ex vice parroco. "Prima devo fare un profondo mea culpa visto che anch'io ho contribuito a sottolineare il rapporto di 3P (così chiamavano il sacerdote i collaboratori più stretti) con la mafia - scrive Porcaro che annuncia anche un intervento di don Ciotti in nome della verità su Puglisi - Del film ho poco da dire se non un clamoroso non c'entra niente, è solo una storia lontana anni luce dalla realtà. Mi stupisce la difesa di padre Golesano, penso che sia una chiara dimostrazione che a Brancaccio oggi padre Puglisi non c'è più, è stato cancellato e al suo posto è stata costruita solo un'immagine molto sbiadita e falsa".

Un sondaggio viene lanciato sul sito www.padrepuglisi.net: chiunque voglia esprimere un parere sul film, testimonianze o solidarietà può collegarsi e lasciare una traccia.

"Ho ottenuto l'esito che speravo non solo in termini di audience, ma anche come comprensione del pubblico - ribatte Gianfranco Albano, regista di "Brancaccio" - fermo restando che il don Pino raccontato da noi è rivolto a tutti, non soltanto a coloro che hanno lavorato con lui. Abbiamo interpretato lo spirito di questa persona, ci interessava sottolineare come sia riuscito a far coincidere la fede con l'impegno civile. Credo sia la cosa più importante, guardandomi attorno penso che soltanto un altro sacerdote come il vescovo Romero abbia fatto cose molto simili a quelle di padre Puglisi".
Albano continua. "Il nostro personaggio non si muove contro, a favore, o trasversalmente alla mafia: ha solo cercato di insegnare a chi gli stava vicino che la scelta è un diritto, che nessuno può strappare. Nella seconda puntata ascolta la confessione di Santino che denuncia il fratello assassino: non lo spinge verso nessuna strada, gli dice soltanto che il suo è un problema di coscienza, è il tuo cuore che deve spingerti. Non credo di aver fatto un film contro la mafia, ne‚ che pretende di giudicare, è una pellicola sulla pietas, sulla compassione o comprensione. Un conto è non mettersi contro la mafia, un conto è non scegliere".

Simonetta Trovato

 

Giornale di Sicilia

13 aprile 2001

Quella straordinaria avventura umana di Luigi Patronaggio

Ho avuto il privilegio, che raramente accade nella carriera di un magistrato, di vivere una straordinaria avventura umana, gestendo le indagini e buona parte del dibattimento relativo all'omicidio di don Pino Puglisi.
Straordinaria avventura umana perchè‚ mi sono imbattuto, dopo essermi confrontato con delinquenti e "infami" di ogni risma, in persone che vivendo la "normalità" sono diventati, loro malgrado, degli eroi, eroi piccoli e per caso.
Si è molto parlato da ultimo, e il recente sceneggiato televisivo è stato l'ultimissima occasione per riparlarne, di don Pino Puglisi come di un Santo, di un martire della fede cristiana, e si è pure detto del pentimento del suo killer, Grigoli, come della conversione di un peccatore e del primo vero miracolo del neo beatificato don Pino Puglisi.
Quella che segue vuole essere la testimonianza di un laico, di uno sfiduciato e tormentato cattolico, che vuole rivedere la straordinaria vicenda di don Pino e di quanti lo affiancarono, con spirito illuminista e con metodo sciasciano.
La storia di don Pino è in realtà, nella sua disarmante semplicità, la storia di quanti, dimenticati dalla Storia e fors'anche dalla cronaca, sono morti per affermare la normalità e la legalità in una terra soggiogata dalla prepotenza mafiosa.
Fin dalle prime battute delle indagini, svolte insieme al collega Lorenzo Matassa, ci siamo resi conto di avere di fronte l'ennesima vittima della prepotenza mafiosa, una vittima, in un certo senso, diversa dalle altre, ma pur sempre una vittima della mafia, accomunata a tutte le altre per essere morta da sola e indifesa; diversa forse per i libri che leggeva, tutti libri pesanti, di teologia e pastorale; diversa sicuramente per l'amore e la fiducia che aveva creato in quanti la avevano conosciuta e seguita.
Le primissime indagini non furono facili, non si avvalsero del "pentito" di turno, e tuttavia permisero di ricostruire, grazia al coraggio civile di chi aveva creduto nell'insegnamento di don Pino, il contesto ambientale dove il delitto era maturato e di focalizzare il volto e il nome dei mandanti di questo orrendo delitto. Il cognome dei presunti mandanti, Graviano, era un cognome pesante, un cognome che con difficoltà veniva pronunciato a Brancaccio e pure presentissimo nella mente e nelle paure di quanti vivevano a Brancaccio.
Ricordo le testimonianze del giovane vice parroco, della gente di un semplice e male organizzato comitato intercondominiale, di alcuni giovani che avevano vissuto fianco a fianco con don Pino.
Capimmo allora che a Brancaccio si poteva morire solo per avere avuto il coraggio di reclamare una vita normale, la legalità più elementare, la voglia di professare l'impegno sociale cristiano, da molti spesso sbandierato e da pochi praticato.
Ricordo taluni componenti del comitato intercondominiale, la cui unica battaglia politica, se tale poteva definirsi, era stata quella di reclamare maggiore attenzione da parte dell'amministrazione comunale e di quartiere per le condizione igieniche della loro strada e del loro complesso condominiale. L'unico incoraggiamento che questi cittadini trovarono nelle loro manifestazioni fu l'appoggio morale e logistico di don Pino. Di tale banale azione di sensibilizzazione civica pagarono peraltro un prezzo altissimo subendo, notte tempo, mentre dormivano tranquilli in famiglia, il tentativo d'incendio delle loro abitazioni!
Ricordo, ancora, dei giovani che avevano subito aggressioni per le strade del quartiere solo perchè‚ non si erano adeguati ai valori mafiosi, o perchè‚ avevano testimoniato il loro impegno cristiano attraverso la creazione di un centro sociale per il recupero di prostitute, diversi o più semplicemente di giovani non scolarizzati.
Dietro tutto questo, che a ben pensare è veramente ben poca cosa per una società che si vuole civile e proiettata verso l'Europa, c'era la presenza discreta di don Pino.
Don Pino non era un prete antimafia, non faceva politica, non era iscritto nel lungo elenco dei retori dell'antimafia. Era solo un uomo ed un cristiano che cercava la normalità e pretendeva la normalità. Per lui la legalità era normalità del convivere civile e non un esercizio di retorica. La legalità per lui era potere operare da uomo libero, con semplicità, con naturalezza, senza servire il politico o l'amministratore di turno e senza abdicare alla dignità di cittadino, di sacerdote, di uomo.
Io non so' se vivere così, come ha vissuto don Pino, significa vivere da Santo, so' solo che vivere così, dal mio punto di vista, significa soltanto vivere da uomo libero, da cittadino di una società civile.
Io non credo ne'ai santi, ne'agli eroi, ma credo che in questa terra disgraziata fare il proprio dovere, affermare la legalità più elementare, praticare le regole della democrazia, spesso significa diventare malgrado tutto un eroe, un eroe piccolo e per caso come don Pino.
L'affermazione della dignità umana, l'affermazione della dignità di quanti sono stati uccisi dalla mafia solo per avere fatto il proprio dovere, spesso in silenzio e lontano dalle grandi tribune e dai grandi prosceni nazionali, costituisce il nemico più temuto dalla mafia, abituata a soggiogare, con lusinghe o con violenze, la libertà e le coscienze degli uomini.
E se don Pino è l'esempio dell'affermazione della dignità umana, dell'uomo che non si fa' soggiogare dal (pre)potente di turno, Grigoli, il suo carnefice, è l'esempio della dignità negata.
Ho conosciuto nell'ambito della medesima vicenda processuale il Grigoli, ho partecipato alla sua cattura e ho raccolto le sue confessioni e le sue dichiarazioni.
Grigoli diventa killer perchè‚ è l'unico modo di affermarsi nel quartiere di Brancaccio, perchè‚ ciò gli garantisce denaro, donne, autovetture, motociclette e soprattutto uno status.
Grigoli commette il Male (confesserà un numero incredibile di omicidi ...) perchè‚ attraverso il Male afferma se stesso, attraverso il crimine, sempre più orrendo, ottiene la considerazione dei mafiosi, degli  uomini d'onore', di quelli che contano e il rispetto degli umili, di quelli che hanno abdicato per sempre alla propria dignità di uomini liberi.
Ma lo stesso Grigoli, messo nelle condizioni di comprendere il sistema di valori perversi in cui fin qui è vissuto, sceglierà alla fine la legalità, o se si vuole vedere la vicenda da un altro punto di vista, sceglierà il Bene.
La sera che lo abbiamo arrestato, io e gli eccezionali uomini della Squadra Mobile di Palermo che mi coadiuvavano, gli abbiamo subito spiegato che il suo sistema di valori era crollato per sempre; che ormai non era più nessuno, che la sua onnipotenza era già da tempo finita, da quando lo avevamo identificato come pericoloso killer al soldo della famiglia mafiosa di Brancaccio e da quando non era più utile e funzionale agli interessi della sua cosca.
L'uomo a quel punto, solo e misero, ebbe un sussulto di dignità, volle vedere sua moglie e i suoi tre splendidi ed innocenti figli e, dopo avere avuto garanzia che questi ultimi potevano crescere diversamente da come era cresciuto lui, che potevano avere da questo Stato la garanzia di crescere liberi e di autodeterminarsi, decise di collaborare e di confessare tutto.
Ancora una volta non so se il percorso seguito dal Grigoli sia un percorso prodigioso, e se dietro questo percorso vi sia la mano di Dio, ritengo, tuttavia, nella mia pochezza di laico, che questa collaborazione - non parlo di pentimento - sia il trionfo della legalità, il ripristino della credibilità dello Stato, sia stata finalmente l'unica vera scelta da uomo libero, effettuata da un uomo pur modesto e piccolo come il Grigoli.
La Pasqua si avvicina, i cristiani la festeggiano come la rinascita, come il rinnovarsi della vita, che tutti la possano festeggiare da uomini liberi ed autentici come Don Pino, eroe e forse Santo sua malgrado.

*Presidente della corte d'Assise di Agrigento

 

Giornale di Sicilia

14 aprile 2001

Il giornale dei vescovi boccia il film in tv su don Pino Puglisi

Pur con una lieve flessione negli ascolti, anche la seconda puntata di "Brancaccio" ha navigato verso il successo. Con 6.761.000 telespettatori (circa 400.000 in meno della prima serata) e uno share del 26.70% (contro il 26.18 precedente), ha battuto "Il bello dello donne" su Canale5. Sembra che al pubblico la miniserie di Gianfranco Albano sia piaciuta parecchio, nonostante a Palermo continuino le polemiche. "Sono disgustato, quello non è don Pino - spiega amaramente don Mario Renna, fino al '95 diacono a Brancaccio, collaboratore di Puglisi e probabilmente ispiratore della figura del giovane Carmine - L'hanno descritto come spione, sbirro; lui era dolce, non si arrabbiava mai, era capace di ascoltare per ore, andava per le strade con il Vangelo tra le mani, non ebbe mai uno scontro politico se non a livello locale. Non ha mai tralasciato una celebrazione religiosa per urlare dall'altare. I primi due anni a Brancaccio eravamo soli, don Pino lavorava in silenzio, aiutava i ragazzi, li rispettava. Era un rompiscatole, questo sì, leggeva molto, mangiava scatolette o massimo pane e panelle, ma queste sono le uniche verità della fiction". Sullo stesso tenore anche il senatore radicale Piero Milio, candidato nella lista Bonino, che "si sente vicino ai vecchi collaboratori di don Pino che non hanno accettato di diventare uno strumento della nuova parrocchia e della politica". Numerose e-mail sono giunte al sito www.padrepinopuglisi.net che ha lanciato un sondaggio sulla validità della fiction, anche se cade l'ipotesi di un intervento di don Luigi Ciotti sulla vicenda. Dal canto suo, anche Avvenire ha pubblicato una riflessione su "Brancaccio" "intriso di sicilianità e questo toglie originalità all'impresa, malgrado il soggetto - scrive Mirella Poggialini -. L'epica della mafia è umiliante e riduttiva, segue schemi immutabili nel delineare una sconfitta annunciata dei buoni. Così la realtà dei fatti raramente si traduce in autentica emozione catartica, in grado di suscitare sdegno". "Per una fiction non utilizziamo mai il linguaggio giornalistico - replica Sergio Munafò, direttore di Raifiction -, qui corre la stessa differenza che esiste tra la fotografia e il ritratto, molto più soggettivo anche se non fedele. Ci interessava l'arma dell'educazione, non la vicenda di un magistrato o di un poliziotto. Puglisi non si contrappone alla mafia ma la combatte dal suo interno, minandone sottovalori e consenso. La mafia è intelligentissima, capisce che don Pino è un motore pericoloso, e lo elimina. Abbiamo sottolineato la lotta quotidiana e anonima contro un sistema che ha la sua cultura, codici e regole di elevazione: quando don Pino comunica che quest'organizzazione non rende liberi, i ragazzi la abbandonano. Il merito di Puglisi sta nell'essere riuscito ad incidere sul sistema mafioso".

Simonetta Trovato

 

L’ORA

18 aprile 2001

La fiction televisiva su Brancaccio rispolvera vecchie ruggini e frizioni tra abitanti e Centro Padre Nostro

"Don Golesano si è prestato alla politica"

Pino Martinez del Comitato Intercondominiale di via Azzolino Hazon non si riconosce più nella chiesa di Brancaccio: "E’ strumento partitico"

Un gruppo di abitanti di via Azzolino Hazon, nei primi mesi del 1990 decise di impegnarsi per tentare di rendere vivibile l'ambiente in cui viveva, ridotto in condizioni di marginalità da una classe politica che aveva preferito abdicare al suo ruolo istituzionale, lasciando in questo modo il campo libero a uomini senza scrupoli. Questo gruppo di cittadini, libero da vincoli di appartenenza partitica scelse di chiamarsi Comitato Intercondominiale della via Hazon e delle vie limitrofe. Pino Martinez, è stato uno dei componenti ed insieme con Padre Puglisi non hanno avuto paura di guardare in faccia la mafia. Oggi vive con la sua famiglia a Carini e storce il naso quando qualcuno parla del "suo" parroco e della "sua" Brancaccio. Ha costruito un sito internet e, all'indirizzo www.angelfire.com, racconta la testimonianza di un impegno civile intenso svolto dal 1990 fino al 15 settembre 1993. E' il racconto di una Brancaccio che male si presta ad una fiction. E' la ricostruzione di un ambiente dove la vita sociale, controllata dal potere politico-mafioso locale, era stata animata da attività e interventi che rendevano sempre più credibili un prete e un gruppo di cittadini. Un racconto che traccia un profilo di Treppì che cozza con quanto visto in Tv. Da quel settembre 1993 non ha mai smesso di "sognare quel sole sognato da don Pino", ma è consapevole che tutto non è più come prima. A cominciare dal ruolo assunto dalla chiesa in quel quartiere. Un ruolo "politico" che gli sta stretto. Lo ricorda con una vena di tristezza.

COSA E’ CAMBIATO DOPO LA MORTE DI PUGLISI

"Subito dopo la morte di Padre Puglisi, abbiamo tentato di collaborare con don Golesano, ma ci siamo accorti che il modo di lavorare non era quello di don Puglisi". Martinez rimprovera al successore di don Pino di non aver arginato un interesse "partitico" che stava strumentalizzando a fini elettorali una storia genuina e coraggiosa di un parroco e di una comunità che, senza etichette e bandierine, ogni giorno, mattone dopo mattone, stava costruendo l’altra Brancaccio. Un tentativo al quale, secondo Martinez, don Golesano e il centro Padre Nostro si è prestato. Dalle riunioni per la creazione di una consulta a Brancaccio, alle ultime elezioni circoscrizionali, con l’appello ad una lista unica dell’Ulivo con le associazioni, del parroco di San Gaetano alle forze del centrosinistra. Quella di Martinez non è un’avversione alla politica, ma ad una certa classe dirigente, prima miope e poi pronta a commemorare i martiri.

"Prima del tragico evento, nonostante la situazione a Brancaccio diventava sempre più pericolosa - sottoline Martinez - nessuno dimostrava solidarietà alla gente di Brancaccio e al suo parroco. Subito dopo l'assassinio, però, abbiamo scoperto che in molti erano disponibili a sostenere le nostre rivendicazioni. Sindacati, movimenti ed associazioni varie, quando le televisioni e le più grosse testate giornalistiche sono calate a Brancaccio per parlare del prete ucciso dalla mafia, solo allora hanno dichiarato di avere a cuore le sorti di Brancaccio. Io personalmente, sin dal giorno dei funerali, sono stato contattato da rappresentanti di vari movimenti che ci chiedevano la partecipazione alle loro assemblee".

CONTRO LA STRUMENTALIZZAZIONE POLITICA

"Io credo alla politica - dice Martinez - ma se vogliamo essere credibili agli occhi della gente, dobbiamo scegliere di restare semplici cittadini, dobbiamo dimostrare che il nostro impegno non è dettato da ambizioni personali e quindi con l'obiettivo puntato alla prima occasione elettorale che si presenta per candidarsi. Da cittadini ben organizzati nel territorio sarà più facile farsi ascoltare da chi amministra la "cosa pubblica" e fare valere i sacrosanti diritti della gente che chiede di vivere con dignità. Rinunciare all'appartenenza politica, questo è quanto ha chiesto a noi padre Puglisi".

Simone Di Stefano

 

L’ORA

18 aprile 2001

NEL SITO INTERNET DEL COMITATO INTERCONDOMINIALE DI VIA AZOLINO HAZON, L’AMARA LETTERA DI SUOR CAROLINA

Perché nessuno ha raccolto l’eredità di don Pino Puglisi ?

"Ci voleva troppo coraggio, troppa coerenza di vita e alti ideali per continuare a credere nell’uomo".

Suor Carolina con le "Sorelle dei Poveri di Santa Caterina da Siena" si trovarono in prima linea con don Pino Puglisi per fronteggiare le povertà del quartiere. Treppì le chiamò per gestire il centro d'accoglienza "Padre Nostro". Presto divennero insostituibili. Dopo l'omicidio di padre Puglisi, le suore hanno dovuto lasciare il centro. Una decisione dall’alto. Suor Carolina, oggi è impegnata altrove sempre in "prima linea", sempre in quei luoghi dove c'è il disagio sociale. Tre mesi fa, ha scelto il sito del Comitato Intercondominiale di via Azolino Hazon per ricordare il parroco di Brancaccio e tutti coloro che, insieme a lui, avevano sognato un riscatto interrotto dall'arroganza mafiosa e dall'indifferenza delle istituzioni. Gli ha regalato una lunga lettera, una lettera "sfogo". Parla del sogno interrotto, ricorda il parroco e tutti quelli che, all’inizio degli anni ‘90, credevano di poter cambiare il mondo. Tutti quelli che, a cominciare dagli inquilini di via Hazon, sognavano di "portare il sole nel quartiere Brancaccio. Il sole della solidarietà, del riscatto morale e civile". "Un sogno - scrive - che non voleva realizzare da solo e per questo aveva innescato il sistema infallibile del contagio, del coinvolgimento, della corresponsabilità. Con un gruppo di persone aveva, in poco tempo, diffuso una gran voglia di cambiare il quartiere attraverso i piccoli movimenti, i semplici gesti di ogni giorno, attraverso iniziative capillari che raggiungevano il cuore delle persone, il vissuto della gente che ci credeva…a iniziare dai bambini, dai giovani e si lasciava aiutare non solo dalle suore che aveva voluto perchè fossero un riferimento nel quartiere ma anche dal Comitato Intercondominiale che molto aveva realizzato e continuava a realizzare per lo sviluppo e la crescita del quartiere attraverso la promozione di alcuni servizi…".

Un sogno che però, secondo suor Carolina, si è spento per sempre perché "neanche altri uomini dopo di lui, che hanno preso il suo posto - dice - sono riusciti a cogliere e a vivere. Perchè nessuno ha raccolto l'eredità di questo sogno per essere il prolungamento di padre Puglisi ? Perché tutto è finito a Brancaccio ed è ritornato il grigiore della malavita, dell'appiattimento sociale e spirituale ? Perché le energie più belle si sono disperse ?" A queste domande, Suor Carolina, risponde senza tentennamenti. "Ci voleva troppo coraggio, troppa coerenza di vita e alti ideali - scrive - per continuare a credere nell'uomo, nelle sue possibilità, nel suo crescere e nel suo promuoversi". Sono parole pesanti, amare, e nel contempo legate ad un filo tenue di speranza.

"Brancaccio un sogno spezzato perchè qualcuno l'ha voluto rompere, cancellare, ma nella coscienza di coloro che hanno condiviso questo sogno, anche se per breve o molto tempo, niente è cambiato…Qualcuno, sicuramente, vive altrove e realizza in altri luoghi l'ultimo sogno di padre Puglisi perché ovunque, in ogni città, in ogni quartiere c'è un pezzo della realtà di Brancaccio".

Poi conclude: "Padre Puglisi, il tuo sogno non è morto, è una consegna a tutti gli uomini di buona volontà. Rimarrà per sempre nell'anima di tutti coloro che ti hanno voluto bene e hanno sognato con te, fosse anche per l'ultima volta".

Simone Di Stefano

 

Corriere della Sera

7 maggio 2001

IL PRETE UCCISO DALLA MAFIA

La Chiesa di Palermo: sì a don Puglisi martire

Un altro passo in avanti verso il riconoscimento del martirio di padre Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso otto anni fa dalla mafia. Ieri, nella cattedrale di Palermo, si è conclusa l’inchiesta del tribunale speciale nominato dal vescovo Salvatore De Giorgi. E il verdetto - come era largamente scontato - è stato favorevole. Adesso il carteggio passa alla Congregazione per le cause dei santi, in Vaticano, per l’ultima decisione. Sarà il Papa, a conclusione dell’istruttoria, a stabilire se il sacerdote dovrà essere proclamato primo martire della mafia.

L’indagine della Chiesa palermitana è durata un anno e mezzo. Durante le sessantasei udienze convocate dal presidente, don Giorgio Scimeca, il tribunale ha ascoltato ventisette testimoni e raccolto una documentazione di oltre tremila pagine, compresi molti scritti del religioso, atti giudiziari e, soprattutto, la confessione del carnefice di padre Puglisi, il killer di mafia ora pentito Salvatore Grigoli, che nelle sue deposizioni nelle aule giudiziarie ha raccontato gli ultimi istanti di vita del sacerdote.

La scelta della data per comunicare la conclusione del processo non è casuale: il 6 maggio è per la Chiesa un giorno speciale, dedicato al buon pastore che non abbandona il gregge davanti ai lupi, immagine evangelica rievocata adesso proprio per sottolineare il sacrificio di questo prete di frontiera. Ed è anche il giorno delle vocazioni, come quella, riconosciuta particolarmente intensa da Giovanni Paolo II, che padre Puglisi sentiva dentro di sé quale strumento per educare la gente al rispetto della legalità e all’amore per il prossimo.

Parallelamente al processo ecclesiastico, allestito dalla Curia di Palermo per celebrare vita e morte del parroco di Brancaccio, si sono svolti nelle aule di giustizia quelli penali contro il clan di mafia che ne decretò la morte. Il 19 febbraio il boss della borgata Filippo Graviano (assolto in primo grado) è stato condannato all’ergastolo, così come il fratello Giuseppe, riconosciuto colpevole già in Corte d’assise. A Grigoli sono stati confermati i 16 anni di carcere avuti nel primo processo.

Enzo Mignosi

 

Giornale di Sicilia

29 maggio 2001

Mafia, condominio di Brancaccio parte civile contro i Graviano

L'associazione intercondominiale "Quartiere Brancaccio", che riunisce gli abitanti dei palazzi di via Azolino Hazon e delle strade limitrofe, ha votato all'unanimità la costituzione di parte civile nel processo contro i boss del rione, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, accusati di essere i mandanti di un attentato incendiario ai danni di alcuni aderenti della stessa associazione.

L'attacco mafioso risale al 29 giugno del 1993, quando venne dato fuoco alle porte d'ingresso delle abitazioni di Mario Romano, Giuseppe Guida e Giuseppe Martinez, tutti e tre vicini a don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio assassinato da Cosa Nostra per il suo incessante e incisivo lavoro di riabilitazione dei giovani del quartiere e per il quale la Chiesa ha avviato da tempo il processo di beatificazione.

L'udienza preliminare del processo si terrà oggi. Oltre ai Graviano, sono imputati anche Salvatore Mangano, Santo Carlo Gambino, Federico Vito, e Salvatore Grigoli, il killer di padre Puglisi, diventato adesso un collaboratore di giustizia. E' stato lo stesso Grigoli a raccontare ai magistrati i motivi per cui la mafia decise di uccidere il parroco di Brancaccio. Il suo lavoro era diventato pericoloso per i boss.

 

Repubblica

1 giugno 2001

I Graviano a giudizio per 3 attentati

Sotto accusa i boss di Brancaccio

I fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss della zona di Brancaccio entrambi detenuti, sono stati rinviati a giudizio quali mandanti dell'attentato contro tre dirigenti dell'associazione intercondominiale "Quartiere Brancaccio", che collaborava con don Pino Puglisi, il parroco assassinato dalla mafia il 15 settembre del ‘93.

I fatti dei quali ora i Graviano sono chiamati a rispondere risalgono a pochi mesi prima dell'omicidio del sacerdote, e cioè al 29 giugno del 1993, quando venne dato fuoco alle porte d'ingresso delle abitazioni di Mario Romano, Giuseppe Guida e Giuseppe Martinez. I tre, molto vicini a don Puglisi, sono tra gli animatori dell'associazione intercondominiale che riunisce gli abitanti dei palazzi di via Azolino Hazon e delle strade limitrofe, e che lunedì ha votato all'unanimità la costituzione di parte civile nel processo.

Con i Graviano sono stati rinviati a giudizio anche Gaspare Spatuzza e Vito Mangano. Prosciolto invece Salvatore Grigoli, il killer di padre Puglisi che è diventato adesso un collaboratore di giustizia e per il quale il reato è prescritto.

 

Giornale di Sicilia

1 giugno 2001

In sei rinviati a giudizio per gli attentati ai collaboratori di Don Pino Puglisi

Gli attentati e le intimidazioni che precedettero l'omicidio di don Pino Puglisi saranno oggetto di un processo. Alla sbarra andranno quattro boss e due presunti gregari. Prosciolto invece Salvatore Grigoli, killer confesso del parroco di Brancaccio: gli sono state concesse le attenuanti per la collaborazione con la giustizia ed è stata applicata la prescrizione. Il rinvio a giudizio è stato deciso dal giudice delle indagini preliminari Daniela Galazzi, che ha accolto la richiesta dei pubblici ministeri Lorenzo Matassa e Marcello Musso.

Imputati del dibattimento, che comincerà in ottobre davanti alla quinta sezione del tribunale, saranno i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Brancaccio entrambi detenuti, e i loro luogotenenti, Nino Mangano e Gaspare Spatuzza: tutti e quattro sono già stati condannati all'ergastolo per l'omicidio Puglisi. A giudizio per gli incendi andranno pure Vito Federico e Santo Carlo Cascino.

I Graviano, considerati i mandanti dell'assassinio del parroco di San Gaetano, sono stati rinviati a giudizio con l'accusa di aver ordinato gli attentati contro tre dirigenti dell'associazione intercondominiale che collaborava con don Pino. Il 29 giugno del 1993, due mesi e mezzo prima del delitto, vennero incendiate le porte d'ingresso delle abitazioni di Mario Romano, Giuseppe Guida e Giuseppe Martinez. I tre sono fra gli animatori dell'associazione che riunisce gli abitanti dei palazzi di via Azolino Hazon e delle strade vicine. I soci lunedì avevano votato all'unanimità la costituzione di parte civile nel processo, mancata all'udienza preliminare per un motivo formale. Il comitato la riproporrà al dibattimento.

Cr. G.

 

Giornale di Sicilia

15 settembre 2001

"La sua lezione? Non si può convivere con la mafia"

"C'è un ricordo di quella sera del 15 settembre 1993 che resterà sempre nella mia mente: la telefonata di suor Carolina, direttrice del centro d'accoglienza Padre Nostro, che mi comunica, piangendo, la morte di don Pino Puglisi. Correndo verso il Buccheri-La Ferla provavo dolore e rabbia. Non avevo più certezze...". Sono frasi di Pino Martinez, del Comitato intercondominiale nato nel quartiere Brancaccio e in prima fila accanto al parroco nelle sue battaglie per la legalità. Frasi tratte da una commossa lettera inviata al Giornale di Sicilia.

Il prossimo 23 ottobre l'associazione si costituirà parte civile nel processo a carico dei fratelli Graviano, accusati di essere i mandanti dell'uccisione del sacerdote ma anche dell'attentato incendiario contro tre componenti del Comitato (lo stesso Martinez, Mario Romano e Giuseppe Guida). "Ho curato personalmente - scrive Martinez - una memoria nella quale ho ricostruito la storia di padre Puglisi e del nostro gruppo dal 1990 al 1993 e l'ho messa in rete internet all'indirizzo www.angelfire.com/journal/puglisi. E siamo stati anche testimoni nei dibattimenti processuali nei quali abbiamo contribuito a ricostruire nei particolari gli eventi e l'ambiente in cui è maturato l'omicidio del sacerdote".

I ricordi tornano al primo incontro con il parroco, appena giunto a Brancaccio: "Come comitato intercondominiale avevamo già da tempo intrapreso diverse iniziative. Sentivamo il bisogno di non essere soli nella nostra azione e ci recammo nella parrocchia di San Gaetano per conoscere il nuovo parroco...Ci disse che potevamo contare su di lui ogni volta che lo ritenevamo necessario". Da lì inizia la collaborazione che lega la parrocchia all'associazione, unite in una azione rivolta verso gli anziani, i bambini a rischio e i ragazzi del quartiere detenuti al Malaspina. "Le iniziative adottate - continua Martinez - hanno avvicinato padre Puglisi ed il comitato intercondominiale sempre di più alla gente del quartiere e gradualmente aumentava anche la richiesta di attività sociali e parrocchiali. Cosa che ha infastidito non poco l'ambiente politico-mafioso di Brancaccio".

Martinez sottolinea: "Costituirci parte civile al processo mi sembra il modo più giusto e coerente per ricordare Padre Puglisi. Bisogna continuare per quella stessa strada che abbiamo percorso con il nostro parroco, segnando un confine netto tra la legalità e la giustizia e la cultura della corruzione e della mafia. Oggi la mafia continua, come ieri, a fare paura e la corruzione è ancora forte. Se è vero che in quei tre anni a Brancaccio quell'esperienza stava consentendo di raccogliere dei buoni frutti (altrimenti sarebbe incomprensibile la violenta reazione che vi è stata), perchè la società civile, la classe politica, la Cultura e la Chiesa non operano per fare sì che non sia dimenticata questa esperienza di contrasto alla mafia? Fu una esperienza nata spontaneamente da gente comune e da un prete non comune, che va compresa veramente fino a diventare patrimonio delle coscienze dei nostri giovani e della società tutta".

"C'è tanto da fare - conclude Martinez -. Padre Puglisi si è esposto per salvare le nostre vite e noi non possiamo permetterci di pensare di convivere con la mafia. Nel suo nome continueremo a testimoniare che la mafia e la corruzione possono essere sconfitte e noi ne siamo stati testimoni. Ma non possiamo essere in pochi a pensare ed operare in questo modo!".

Antonio Giordano

 

Giornale di Sicilia

15 settembre 2001

Otto anni fa l'omicidio di padre Puglisi. Messa di pace pensando al popolo Usa

L'ottavo anniversario dell'omicidio di padre Pino Puglisi nel segno della solidarietà agli Stati Uniti. Stasera alle otto e mezzo, durante la celebrazione in cattedrale per ricordare il sacrificio del prete di Brancaccio ucciso dalla mafia, il cardinale Salvatore De Giorgi rivolgerà una preghiera "per le migliaia di vittime dell'attentato terroristico, per i feriti, per i familiari che hanno perso i loro cari e per gli emigrati della nostra Arcidiocesi che lì abitano", così si legge in una nota della segreteria del cardinale.

Anche la comunità parrocchiale di San Gaetano e il centro Padre nostro di Brancaccio si uniscono alla preghiera del cardinale e ieri sera hanno organizzato una veglia di preghiera in piazzale Anita Garibaldi, dove padre Puglisi venne affrontato da Salvatore Grigoli, l'uomo che gli diede la morte con un colpo di pistola.

E' stato lo stesso Grigoli a raccontare cosa successe quella sera e nei mesi che precedettero l'omicidio. A dare l'ordine di uccidere il prete di Brancaccio sarebbero stati i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Puglisi, in quel quartiere, faceva quello che mai nessun altro aveva fatto: scuoteva le coscienze, toglieva manovalanza alla mafia, chiamava bambini e ragazzini a s‚, li invitava in parrocchia. Un lavoro che portava avanti armato solo della sua fede, nudo di fronte ai pericoli e agli avvertimenti che gli venivano sussurrati da più parti.

C'era chi l'avvicinava e gli diceva "ma chi te lo fa fare?", c'era chi gli consigliava di badare di più alla parrocchia. Puglisi sapeva di essere in pericolo, lo capì bene quando i suoi collaboratori più stretti cominciarono a essere minacciati, quando incendi e danneggiamenti misero sottosopra il quartiere. Il sicario ha raccontato che i Graviano a un certo punto decisero di affrontare personalmente la questione. Convocarono una riunione a Misilmeri e lì ordinarono di uccidere il prete. La sera del 15 settembre del 1993 Grigoli e Gaspare Spatuzza attesero che Puglisi rientrasse a casa, il prete aveva appena festeggiato il suo compleanno. I due cercarono di simulare una rapina, padre Puglisi venne bloccato sul portone di casa. Si voltò, guardò il killer in faccia e abbozzando un sorriso disse: "Me l'aspettavo". Fu inutile la corsa al Buccheri-La Ferla.

"Il ricordo di don Pino, dice Mario Golesano, parroco di San Gaetano, continua a segnare la via verso la libertà interiore". E il commissario Guglielmo Serio: "Ricordare è un dovere necessario, il ricordo ci aiuta a capire la storia passata, a penetrare il presente, a prevenire possibili mali futuri".

Ieri il commissario ha partecipato a una commemorazione organizzata nei locali dell'auditorium intitolato a Giuseppe Di Matteo, un'occasione per sottolineare "quanto e come sia cambiata in meglio Brancaccio negli ultimi otto anni", spiegano Golesano e Sandro Terrani, il presidente della seconda circoscrizione. Che poi aggiunge: "Il lavoro compiuto da don Pino sulle coscienze dei più giovani è stato profondo e incisivo". Domani le manifestazioni per ricordare Puglisi continueranno con una messa che sarà celebrata alle undici nella parrocchia di San Gaetano dal cardinale, mentre alle sei del pomeriggio verrà inaugurata una nuova area ricreativa nel centro di accoglienza Padre Nostro. Una preghiera è organizzata anche dalla Comunità di Sant'Egidio alle 17,30 di domani alla Chiesa della Catena. Manifestazioni in programma anche a Barcellona e a Licata per opera del "Centro 3P".

Francesco Massaro

 

Giornale di Sicilia

17 settembre 2001

Don Puglisi martire, un passo avanti: il Vaticano avvia l'esame dell'istruttoria

In Vaticano si cominciano ad esaminare le carte del processo per il riconoscimento del martirio di don Giuseppe Puglisi. L'annuncio ufficiale l'ha dato il cardinale Salvatore De Giorgi davanti alla cattedrale gremita, sabato sera, proprio a conclusione della solenne messa di commemorazione nell'ottavo anniversario dell'omicidio.

"Ho avuto notizia - ha detto l'arcivescovo visibilmente soddisfatto - che entro pochi giorni la Congregazione per le cause dei Santi inizierà la verifica dell'istruttoria compiuta a livello diocesano su don Puglisi". Per questo, ha aggiunto il Cardinale, tutti i fedeli sono invitati in questi giorni "a pregare più volte per il buon esito della causa", secondo il testo preparato dallo stesso De Giorgi (qui accanto nel grafico), che è stato distribuito e poi letto in Cattedrale.

La fase diocesana dell'istruttoria si è conclusa il 6 maggio scorso: i faldoni con le testimonianze e gli scritti di don Puglisi sono stati sigillati al termine del lavoro di raccolta svolto dal tribunale ecclesiastico col supporto della commissione diocesana coordinata da don Francesco Stabile. Postulatore è stato monsignor Domenico Mogavero (di recente nominato vicesegretario della Conferenza episcopale italiana), che ha avuto lo stesso incarico per la seconda fase della causa e seguirà quindi personalmente l'iter anche presso la Congregazione vaticana.

La notizia dell'avvio dell'esame dopo appena quattro mesi si inquadra in un clima favorevole in Vaticano sulla causa stessa. Anche nel settembre '99 il nulla osta iniziale - senza il quale il "processo" non poteva cominciare - giunse dalla Santa Sede in tempi molto rapidi. "E' una celerità che fa ben sperare", disse il cardinale De Giorgi. In ambienti ecclesiastici si sottolinea come alla Congregazione giungano documenti relativi alle cause proposte dalle diocesi di tutto il mondo: l'avvio in soli quattro mesi è quindi un segnale molto positivo, quando per l'esame di altri procedimenti passano a volte anche anni. Difficile, però, fare previsioni sulla durata della causa in Vaticano. Diversi i passaggi necessari, il primo sarà la formazione della cosiddetta "positio": dalle carte inviate da Palermo verrà tratto un unico volume di sintesi sul quale dovranno poi esprimersi gli incaricati della Congregazione. Conforta, comunque, i fedeli l'attenzione rivolta dallo stesso Giovanni Paolo II al delitto Puglisi. Il Papa ha ricordato più volte il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia: due volte durante i viaggi in Sicilia del '94 e prima ancora subito dopo l'omicidio. Parlando dalla Verna disse: "In questo luogo di pace e di preghiera, non posso che esprimere il dolore con il quale ho appreso la notizia dell'uccisione di un sacerdote di Palermo, don Giuseppe Puglisi. Elevo la mia voce per deplorare che un sacerdote impegnato nell'annuncio del Vangelo e nell'aiutare i fratelli a vivere onestamente, ad amare Dio e il prossimo, sia stato barbaramente eliminato. Mentre imploro da Dio il premio eterno per questo generoso ministro di Cristo, invito i responsabili di questo delitto a ravvedersi e a convertirsi. Che il sangue innocente di questo sacerdote porti pace alla cara Sicilia".

Francesco Deliziosi

 

Giornale di Sicilia

8 dicembre 2001

Cassazione: delitto don Puglisi, confermate tutte le condanne

Uno sparo nel buio spezzò, 8 anni fa, la vita di don Pino Puglisi, sacerdote buono impegnato nel riscatto sociale di un quartiere ad altissimo rischio mafioso, Brancaccio. Ora i due boss, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, che hanno ordinato quel delitto, armando la mano del killer Salvatore Grigoli, sono stati condannati al carcere a vita col sigillo della Cassazione. Sedici anni la pena inflitta al sicario.

E' stata la mafia, ai suoi massimi livelli, dice la Suprema Corte, con una sentenza che accelera l'iter del processo di beatificazione del parroco, a volere la morte di quel sacerdote che, parlando dritto al cuore dei tanti giovani senza futuro della borgata, costruiva l'edificio della speranza, sottraendo manovalanza all'organizzazione criminale. Don Pino era una minaccia. Dimostrava, giorno per giorno, che cambiare Brancaccio è possibile. Dava fastidio alla mafia per il suo apostolato, l'azione contro i trafficanti di droga, le omelie di condanna a Cosa Nostra. Omelie pericolose nel feudo che fu dei fratelli Graviano.

Per questo la sera del 15 settembre del '93, l'hanno assassinato. Il commando l'aspettava sotto casa. C'erano Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone e il "reggente" della cosca Nino Mangano. Processati separatamente, tutti condannati all'ergastolo con sentenza definitiva. I loro nomi, agli investigatori, li aveva fatti Grigoli. Un modo per dimostrare ai magistrati che la sua scelta di collaborare era seria. Era stato lui a raccontare gli ultimi istanti di don Puglisi. "Padre, questa è una rapina", aveva detto il killer. "Me l'aspettavo", aveva risposto la vittima. Un colpo secco alla tempia.

Il primo processo ai capimafia, processo in cui era imputato lo stesso collaboratore, si era concluso con un solo ergastolo: quello di Giuseppe Graviano. Il fratello Filippo era stato assolto dal delitto e condannato a 10 anni per mafia. La sentenza parlava di indizi insufficienti a carico del boss. Una valutazione bocciata dai magistrati della corte d'assise d'appello che avevano ritenuto ugualmente responsabili del delitto i capimafia di Brancaccio. Sedici anni la pena inflitta a Grigoli, l'ex uomo d'onore che sparò alla nuca di don Puglisi.

E commentando la sentenza della Cassazione, il Pm Lorenzo Matassa, il magistrato che ha coordinato le indagini sul delitto e ha sostenuto in aula l'accusa, ha detto: "La mancata costituzione di parte civile della Chiesa nel processo per l'omicidio di padre Puglisi è un'occasione sciupata per fare vivere l'opera di aiuto sociale del sacerdote".

Lara Sirignano

 

Giornale di Sicilia

19 dicembre 2001

Minacce e intimidazioni a Brancaccio, parte civile un'associazione di abitanti

L'Associazione intercondominiale di Brancaccio è stata ammessa come parte civile al processo per gli attentati e le intimidazioni che precedettero l'omicidio di don Pino Puglisi, colpendo alcuni dei suoi componenti. La richiesta è stata accolta dalla quinta sezione del tribunale, presieduta da Salvatore Barresi. Sotto processo quattro boss e due presunti gregari. Si tratta dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Brancaccio, e dei loro luogotenenti Nino Mangano e Gaspare Spatuzza. Tutti sono già stati condannati all'ergastolo per l'omicidio Puglisi. A giudizio pure Vito Federico e Santo Carlo Cascino. Era stato prosciolto invece Salvatore Grigoli, killer reo confesso del sacerdote, al quale erano state concesse le attenuanti previste per i collaboratori. Era stato lui a riferire che gli atti intimidatori erano stati commissionati dai Graviano per fermare l'attività del parroco e dei volontari.

Il 29 giugno del '93, due mesi prima del delitto, furono incendiate le porte d'ingresso delle abitazioni di Mario Romano, Giuseppe Guida e Giuseppe Martinez, tre dei promotori dell'associazione che riunisce gli abitanti dei palazzi di via Azolino Hazon e delle strade vicine, e che si è distinta per le sue denunce antimafia. La decisione di costituirsi parte civile era stata votata all'unanimità in una riunione, ma era saltata in fase di udienza preliminare per un motivo formale. Ora è stata riproposta e accolta. Il legale di uno degli imputati si era opposto sostenendo che l'associazione si era formtata dopo i fatti oggetto del processo, ma la Corte ha invece ritenuto che l'attività svolta nel quartiere era precedente.

"E' una scelta difficile la nostra - spiega Giuseppe Martinez - ma coerente con quel cammino che abbiamo intrapreso con il nostro parroco e che vogliamo perseguire nel suo nome per trasmettere un modello d'impegno civile e religioso che a Brancaccio stava cominciando a dare i suoi frutti. Non per vendetta - prosegue - ma per avere giustizia abbiamo chiesto di costituirci parte civile. Avere giustizia è un diritto che non può essere negato a nessuno".

Per manifestare solidarietà ai membri dell'associazione erano presenti in aula l'avvocato e assessore comunale Michele Costa, il responsabile del centro Santa Chiara don Baldassare Meli, Vincenzo Agostino, padre dell'agente Antonino, ucciso dalla mafia, e alcuni studenti dell'Iti Volta.

R. L. V

 

www.fuoricronaca.it

20 Dicembre 2001

Brancaccio : i condomini parte civile.
Si costituisce parte civile al processo contro i killer di Don Pino Puglisi un gruppo di condomini del quartiere di Brancaccio

Avevano fondato l'Associazione Intercondominiale denunciando le attivita' illecite legate alla mafia nel quartiere di Brancaccio e avevano subito pesanti intimidazioni. Continua il cammino verso la legalita' iniziato dal parroco.
La quinta sezione del tribunale - presieduta da Salvatore Barresi - ha accolto la richiesta dell' Associazione Intercondominiale di Brancaccio di essere ammessa come parte civile nell'ambito del processo per le intimidazioni e gli attentati che precedettero l'assassinio di Don Pino Puglisi.
Alla sbarra per l'uccisione del parroco di frontiera - freddato da un sicario con un colpo di pistola alla nuca in una sera di settembre del 1993 - quattro boss e due presunti gregari.
Giuseppe e Filippo Graviano - i boss indiscussi del quartiere di Brancaccio - nonche' due dei loro luogotenenti, Gaspare Spatuzza e Nino Mangano: tutti condannati all' ergastolo per l'omicidio di Don Pino Puglisi, mentre era stato prosciolto Salvatore Grigoli - il killer del sacerdote reo confesso - in virtu' delle attenuanti previste per i collaboratori.
E Grigoli aveva deciso di collaborare con la giustizia, dal momento in cui aveva rivelato ai giudici che gli atti intimidatori nel quartiere erano stati decisi e commissionati dai fratelli Graviano per bloccare l'attivita' antimafia condotta dal parroco e dai suoi collaboratori.
Ma da dove nasce l'intenzione dei condomini di costituirsi parte civile nel processo?
Dal fatto che - circa due mesi prima del delitto di Don Pino Puglisi - le porte d'ingresso agli appartamenti di tre dei condomini - Giuseppe Martinez, Giuseppe Guida e Mario Romano - erano state incendiate : il gesto era chiaramente intimidatorio, visto che i tre uomini sono proprio i promotori dell'associazione che riunisce gli abitanti di diversi plessi di Via Azolino Hazon che - negli anni - hanno svolto un'intensa attivita' di denuncia contro le attivita' mafiose legate alla vita del quartiere.
La decisione di presentare costituzione di parte civile era stata votata all'unanimita' in una riunione tra i rappresentanti dell'associazione ma poi il tutto era saltato per un cavillo formale : la proposta pero' questa volta e' stata accettata.
E Giuseppe Martinez - una delle vittime degli atti intimidatori e promotore delle iniziative intercondominiali - parla di scelta difficile ma al contempo coerente con la linea intrapresa e seguita insieme al parroco prima della sua uccisione.
Un percorso di denuncia e di riaffermazione della legalita' che - anche senza Don Pino Puglisi - deve continuare per trasmettere un modello di impegno civile e religioso che a Brancaccio stava incominciando a dare dei frutti.
Per portare solidarietà ai membri dell'associazione erano presenti in aula l'avvocato e assessore comunale Michele Costa, il responsabile del centro Santa Chiara Don Baldassare Meli, Vincenzo Agostino, padre dell'agente Antonino, ucciso dalla mafia, e alcuni studenti dell'Iti Volta.

Alessandra Verzera

 

Repubblica

30 gennaio 2002

I cittadini che domani al processo Puglisi testimonieranno contro la mafia del quartiere Brancaccio
NON LASCIAMOLI SOLI

Quando, agli inizi degli anni Novanta, don Pino Puglisi viene nominato parroco a San Gaetano, nel quartiere Brancaccio, capisce che la sua azione pastorale non può prescindere da un'attenta bonifica del territorio anche dal punto di vista sociale e culturale. L'evangelizzazione, cioè la proclamazione della parola di Gesù, presuppone la promozione umana, cioè la restituzione ai cittadini della loro dignità. La sua intuizione non trova, però, grande eco nella comunità parrocchiale. Ricordo che, quando invitava alcuni di noi a iniziative da lui organizzate, trovavamo poca gente e, per giunta, non sempre motivata e convinta. Qualche amico glielo fece notare affettuosamente poche settimane prima del suo martirio: "Sei ancora troppo isolato per poterti permettere la denunzia a viso aperto dei mafiosi della zona". Eppure, anche in quella fase di relativo isolamento - accettata con grande fiducia nella Provvidenza e con scarsa conoscenza della mafia urbana - don Pino trovò dei coraggiosi compagni di strada: dei comuni, inermi cittadini che costituirono un Comitato Intercondominiale per sostenere e amplificare le sue proposte di disinquinamento ambientale.
Puntuale, la minaccia del potere mafioso raggiunse anche questi coraggiosi e "anomali" palermitani: il 29 giugno del 1993 furono bruciate le porte d'ingresso degli appartamenti di tre componenti del Comitato. Due mesi e mezzo dopo, il prete venne assassinato da un killer solitario (per la ricostruzione di queste vicende si può proficuamente consultare il sito www.angelfire.com/journal/puglisi).
Nella prima udienza del processo, che avuto inizio nel mese di ottobre del 2001, il Comitato Intercondominiale ha presentato ai giudici della Corte d'Assise di Palermo la richiesta di costituzione di "parte civile" contro la mafia del quartiere Brancaccio: imputati i fratelli Graviano più quattro esecutori ritenuti responsabili di avere realizzato gli attentati al fine di far recedere tutto quanto il Comitato dall'attività di riscatto sociale. I giudici hanno accettato la richiesta di costituzione di "parte civile" e domani alle 9, presso il Tribunale di Palermo (Quarta sezione della Corte d'Assise, piano II) gli interessati saranno ascoltati come testimoni.
Chi si è trovato, qualche volta, in simili condizioni può intuire perché essi abbiano contattato amici e conoscenti per esprimere anche mediante un appello via Internet la speranza di non essere lasciati soli. Questi nostri concittadini (protagonisti di una esperienza di aggregazione e di mobilitazione che a suo tempo raccolse, intorno a un preciso obiettivo di riscatto civile, condomini di vario orientamento ideologico) contano (come in parte è già avvenuto il 18 dicembre dello scorso anno) sulla presenza fisica e sulla solidarietà morale delle istituzione democratiche, dei mezzi di comunicazione, dell'associazionismo laico e cattolico. Notano, con un velo di amarezza, che "i mafiosi non sono soli, non soltanto perché sono capaci di trovare appoggi politici, ma perché sanno tra loro dimostrare una forte solidarietà, come abbiamo avuto modo di sperimentare nella prima udienza di questo processo: erano in tanti i parenti e amici degli imputati a riempire l'aula e non avevano nessuna vergogna".
Sull'altra sponda, invece, soffia l'accattivante venticello della "normalizzazione": bisogna spegnere i riflettori, abbassare i toni di denuncia, "imparare a convivere". Ma una cosa è voltare pagina rispetto a un certo modo "urlato" di fare antimafia (un modo che forse poteva anche avere un senso come reazione emotiva per bucare la coltre di silenzio che separava le tragedie palermitane dalle orecchie distratte dell'opinione pubblica nazionale) e tutta un'altra cosa è accantonare quelle forme di protesta estemporanea e disperata per diffondere, con ingenuità o per calcolo intenzionale, l'illusione che zittite le bombe la mafia sia scomparsa. Sappiamo che è esattamente il contrario e che la mafia è tanto più radicata ed efficiente quanto meno avverte il bisogno di terrorizzare con atti eclatanti e, alla lunga, controproducenti.
Se dunque è passata la stagione dell'antimafia televisiva, resta ancora tutta da attraversare quella che il Centro "G. Impastato" ha più volte definito l'antimafia "difficile": l'antimafia dell'analisi scientifica, dell'impegno sociale nei quartieri, dell'educazione delle nuove generazioni. Un modo concreto di contribuire al cambiamento che potrebbe passare, oggi, attraverso un gesto, anche semplice e privato, di solidarietà ai concittadini che attendono, senza spirito di vendetta e con assoluto rispetto per la magistratura, la decisione sulla loro richiesta di verità e di giustizia.

Augusto Cavadi

 

Giornale di Sicilia

1 febbraio 2002

Attentati ai collaboratori di don Puglisi . Al processo rivive la rivolta di Brancaccio

I boss seguono distratti ma stizziti, collegati in videoconferenza con un'aula dove, oltre ad un processo, si celebra la ribellione di una parte di Brancaccio al loro potere assoluto. Loro, i membri dell'associazione intercondominiale di via Azolino Hazon, affrontano l'udienza a viso aperto: il testimone sul pretorio, il pubblico in aula ad ascoltare composto. Nessuno si nasconde. Ci sono anche studenti di due scuole superiori, l'Iti Volta e il liceo scientifico Ernesto Basile, a gremire l'aula della quinta sezione del tribunale, di fronte alla quale i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Nino Mangano e Gaspare Spatuzza, assieme a due presunti gregari, Vito Federico e Santo Carlo Cascino, rispondono di danneggiamenti e intimidazioni. I fatti precedettero di poco l'omicidio di don Puglisi (15 settembre del 1993).
Sono gli ex collaboratori di don Pino Puglisi, a gremire l'aula, sono uomini e donne di Brancaccio a chiedere giustizia. A deporre è Pino Martinez, uno dei danneggiati: il 29 giugno '93 furono bruciate la porta di casa sua e quelle di altri due componenti il comitato, Mario Romano e Giuseppe Guida. Al collegio presieduto da Salvatore Barresi il teste ha raccontato quel periodo "caldo": il grande condominio di via Hazon, nel cuore di Brancaccio, con il sostegno del parroco di San Gaetano, portò avanti una serie di iniziative per denunciare il degrado e per tentare di riscattare la disastrata realtà di Brancaccio.
Stampa quotidiana e informazione televisiva, ha raccontato Martinez, conobbero e raccontarono quel che avveniva a Brancaccio, quartiere che faticosamente tentava di uscire da anni di isolamento e arretratezza culturale. Rispondendo alle domande del pubblico ministero Egidio La Neve, il testimone ha ricordato l'incontro dei rappresentanti del comitato con il prefetto del tempo, Giorgio Musio. Anche in quel caso padre Pino era al loro fianco. "Lui aveva capito però che stavamo rischiando - ha detto Martinez - e aveva cominciato ad essere protettivo nei nostri confronti. Attraverso le sue omelie e i suoi interventi fece capire che non avrebbe mai accettato con indifferenza che uno dei suoi figli fosse colpito violentemente". La filosofia di don Puglisi, nel ricordo del teste, era semplice: "Non chiedere come favore quel che è tuo diritto".
Il comitato è riuscito a costituirsi parte civile sebbene sia stato costituito legalmente, come associazione intercondominiale, dopo la morte di don Pino: gli avvocati che lo rappresentano, Marzio Tricoli e Giovanna Giaimo, hanno dovuto vincere per questo una difficile battaglia legale. I fratelli Graviano e i loro luogotenenti, Mangano e Spatuzza (tutti detenuti da anni): sono già stati condannati all'ergastolo, con sentenza definitiva, per l'omicidio Puglisi. Dopo la costituzione di parte civile l'associazione di via Hazon - che ha anche un sito internet all'indirizzo www.angelfire.com/journal/puglisi - ha ottenuto in questi giorni numerose solidarietà: tra gli altri anche il presidente dell'Antimafia, Roberto Centaro, Emergency e il Centro Impastato.

Riccardo Arena

 

Repubblica

1 febbraio 2002

Parte civile contro i boss una lezione di coraggio nel cuore di Brancaccio

Chiedevano scuole, fogne e servizi. Denunciavano piccole e grandi illegalità. Con il loro comitato intercondominiale difendevano così una trincea di vivibilità anche a Brancaccio.
In terra di mafia il loro darsi da fare pesava come un guanto di sfida gettato sulla faccia dei Graviano, i boss del quartiere. Per questo provarono a fermarli. A giugno del 1993 gli bruciarono le porte di casa. Gli mandarono a dire così che era facile ucciderli. Non si fermarono e tre mesi dopo i boia delle cosche colpirono senza equivoci. Uccisero padre Pino Puglisi che di quel gruppo era il punto di riferimento.
Giuseppe Martinez, uno dei leader del comitato, vittima come gli altri della vendetta decretata dai Graviano, depone al processo per l'attentato. In aula sono venuti i ragazzi del liceo Basile e dell'Iti Volta. Una lezione sul coraggio della denuncia e sulla civiltà della testimonianza in presa diretta. Anche loro, come l'ex assessore alla Pubblica istruzione Alessandra Siragusa, hanno raccolto l'appello di Augusto Cavadi lanciato dalle colonne di "Repubblica".
Martinez racconta di come la benzina fu versata in quantità sul pianerottolo di casa. Di come il fuoco annerì la sua porta, incuneandosi fin dentro l'appartamento di altri due suoi amici, Mario Romano e Giuseppe Guida. Davanti ai giudici rievoca le battaglie del comitato sullo scantinato di via Azolino Hazon, un enorme garage sotto uno dei palazzi del fallimento Pilo diventato pascolo esclusivo della malavita del rione. Lì dentro ci si prostituiva, si spacciava, si trafficava, si nascondeva refurtiva e forse ci si riuniva.
Il comitato voleva che quello scantinato tornasse a essere un pezzo di quartiere, magari una scuola media. Per questo Martinez e gli altri, insieme con Padre Puglisi, incalzavano le autorità, tenevano manifestazioni pubbliche, chiamavano all'impegno la città. Predicavano di legalità e di diritti. Per la morte di Falcone scesero in piazza con le fiaccole. Per l'anniversario della strage di via D'Amelio parlarono di pace davanti alle telecamere dei tg nazionali. Si scontrarono e duramente con l'allora presidente del quartiere, Giuseppe Cilluffo, poi arrestato per mafia e con l'entourage del senatore Vincenzo Inzerillo, anche lui finito in carcere, accusato di essere una quinta colonna politica dei boss. I suoi uomini raccomandavano silenzio nel pieno della campagna elettorale, le denunce del comitato disturbavano il lavoro dei galoppini, accendevano pericolosamente i riflettori in un territorio in cui negli anni precedenti le battaglie politiche si regolavano talvolta con il piombo, più spesso con i pestaggi, le minacce, gli avvertimenti calibrati. Assistiti dall'avvocato e assessore Marzio Tricoli e da Giovanna Giaimo i leader del comitato si sono costituiti parte civile. Martinez lo ha fatto anche in prima persona.

Enrico Bellavia

 

Giornale di Sicilia

4 febbraio 2002

Brancaccio: elogio di Garau all'Intercondominio

Solidarietà ai volontari dell'Intercondominio di Brancaccio da parte della parrocchia di Maria Santissima del Carmelo, in via Decollati, guidata da don Antonio Garau. L'associazione di collaboratori di padre Puglisi si è costituita parte civile contro i boss e nei giorni scorsi è iniziato il processo per le intimidazioni e gli attentati che precedettero il delitto del '93. "Una scelta coraggiosa, non dobbiamo lasciarli soli", ha detto ieri don Garau durante le celebrazioni per l'anniversario della fondazione della parrocchia. La giornata - presente anche padre Ennio Pintacuda - è stata dedicata alla famiglia e don Puglisi è stato ricordato dal giornalista Francesco Deliziosi e dalla moglie Maria, che furono entrambi collaboratori del parroco a Brancaccio.
Alla festa ha partecipato anche Biagio Conte, la cui "Missione di Speranza e Carità" ricade nel territorio della parrocchia dei Decollati: il missionario laico ha dato testimonianza del suo impegno e ringraziato padre Garau per la collaborazione. Poi, nel pomeriggio, Biagio Conte ha anche partecipato ad una iniziativa del Centro di aiuto alla vita (ieri è stata celebrata dalla chiesa cattolica appunto la Giornata della vita).

 

Giornale di Sicilia

24 febbraio 2002

Brancaccio-Vaticano, treno di speranza I ragazzi della media Puglisi dal Papa

Andranno in udienza dal Papa, incontreranno il presidente della Repubblica ed il sindaco di Roma, visiteranno, accompagnati dai rispettivi presidenti, la Camera dei deputati e il Senato: un soggiorno romano intenso e significativo per una delegazione di studenti della scuola media di Brancaccio Padre Pino Puglisi. Si partirà l'otto aprile, rientro una settimana dopo. E proprio nel ricordo della figura del sacerdote, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, si sono mobilitati aiuti da più parti. Le Ferrovie dello Stato hanno assicurato un forte sconto sul prezzo del biglietto, il Comune capitolino coprirà le spese dell'alloggio, l'Arciconfraternita di Santa Maria Ogiditria dei siciliani a Roma e il suo primicerio monsignor Pennini inviteranno un paio di volte a pranzo i 55 ragazzi della "Puglisi" che andranno in viaggio accompagnati dal preside e dal professore di religione Domenico Buccheri, promotore ed organizzatore dell'iniziativa. Per aprire l'iniziativa al territorio sarà possibile partecipare, a proprie spese, anche per i familiari.
"Siamo grati a tutti quelli che stanno contribuendo a dare un aiuto economico ai nostri ragazzi, molti dei quali non possono permettersi di sostenere il costo del viaggio. Speriamo che anche la nostra amministrazione comunale ci dia una mano", auspica Gaetano Pagano, dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo Padre Pino Puglisi, che aggiunge: "L'educazione alla legalità degli studenti, in una realtà come quella del nostro quartiere, passa soprattutto attraverso l'instaurarsi di un rapporto "affettivo" con le istituzioni: è significativo, quindi, incontrare il Pontefice e poi andare a trovare nella sua sede ufficiale il Presidente Ciampi a distanza di un paio di anni da quando venne ad inaugurare la nostra scuola". La stessa scuola per cui a lungo combattè il sacerdote ucciso.
Sarà un vero tour de force, ma certamente emozionante, il soggiorno a Roma degli studenti. Il dieci aprile saranno in udienza generale dal Papa, assieme ad altre centinaia di persone ma con un occhio di riguardo: alla fine ad una decina di giovani sarà consentito di avvicinarsi per salutare e scambiare qualche parola con Giovanni Paolo II. Due giorni dopo, sarà la volta di un incontro con il presidente della Camera Pierferdinando Casini e, al pomeriggio, di una visita al Campidoglio da Walter Veltroni. Il 13 aprile tappa al Senato, mentre l'incontro con Azeglio Ciampi, dato per sicuro, attende solo la conferma della data.

Filippo Pace


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