Su invito dell'Associazione Namaste-Ostiglia, che ha voluto ricordare padre Puglisi in occasione dell'8º anniversario della sua morte, ho scritto questo articolo che lo troverete anche all'indirizzo: www.namaste-ostiglia.it/lasthelp/controlemafie.asp

     

 

Non dimentichiamo padre Puglisi

di Pino Martinez

Palermo, 12 settembre 2001

Nella foto padre Puglisi

C’è un ricordo che rimarrà incancellabile nella mia mente: la sera del 15 settembre 1993. Una telefonata, Suor Carolina, la direttrice del Centro d’Accoglienza Padre Nostro, mi dice piangendo: "Pino, è morto padre Puglisi, è stato trovato in una pozza di sangue".

Ho capito immediatamente che la mafia aveva posto fine alla vita del nostro amico. Di fronte ad un evento criminale di questa portata tutto viene messo in discussione. Paura, dolore e rabbia mi accompagnano fino all’ospedale "Bucchieri La Ferla", dove mi sono subito recato per stare qualche attimo vicino al mio amico di circa tre anni di battaglie. In quel tragico momento non ho più certezze. Mi sembra che l’impegno civile del Comitato Intercondominiale, condiviso pienamente e attivamente da padre Puglisi che si riconosceva nel nostro gruppo, sia arrivato alla fine. "Pino, il Comitato Intercondominiale non può finire", mi disse padre Puglisi subito dopo l’intimidazione mafiosa del 29 giugno 1993 che tre di noi avevano subito. "Se mi uccidono non mi interessa, tanto io non ho moglie e figli". Quest’altra frase la pronunciò qualche settimana prima del suo omicidio. Ricordando queste frasi mi sono reso conto che non potevo porre la parola fine all’attività del Comitato Intercondominiale; così, io e gli amici del gruppo decidemmo di continuare con rinnovata forza il nostro impegno civile per non rendere inutile il sacrificio di un sacerdote che negli ultimi tempi si era esposto ancora di più per proteggere le nostre vite.

I momenti vissuti insieme a lui, le nostre battaglie civili condivise con lui, spesso, ancora oggi, mi tornano in mente. Mi torna in mente la prima volta che ci incontrammo. Noi come Comitato Intercondominiale avevamo già intrapreso nel nostro quartiere delle iniziative. Sentivamo il bisogno di non essere soli nel nostro difficile impegno e per questo ci recammo nella nostra parrocchia (San Gaetano) per conoscere il parroco da poco tempo arrivato. A lui esprimemmo il nostro desiderio di essere aiutati. Il sacerdote cercò di capire chi eravamo, da che cosa nasceva la nostra voglia di lottare e se eravamo persone mosse da una qualsiasi appartenenza politica che volevano coinvolgerlo. Resosi conto che eravamo abitanti del quartiere, semplici cittadini che vivevano sulla propria pelle i drammi sociali di un territorio emarginato dalle istituzioni, cominciò a collaborare con noi. Abbiamo acquisito più sicurezza da quando il nostro parroco ci disse che potevamo contare su di lui tutte le volte che lo ritenevamo necessario. Iniziò anche la nostra collaborazione nelle attività parrocchiali e del Centro d’Accoglienza Padre Nostro che ci vedeva stare accanto agli anziani ma anche seguire le attività di socializzazione dei bambini a rischio e mantenere rapporti con i giovani di Brancaccio ospiti del carcere minorile Malaspina e le loro famiglie. Molti sono stati gli incontri con le Autorità istituzionali locali per chiedere di realizzare nel quartiere la scuola media, il distretto socio-sanitario di base e altri servizi. Abbiamo affrontato gravi emergenze, come quella dell’epatite virale che verso la fine del 1991 mobilitò molte mamme per alcuni casi clinicamente accertati. Abbiamo organizzato nel maggio del 1993 un corteo antimafia con fiaccolata, la prima volta per le strade di Brancaccio, in occasione del primo anniversario della strage di Capaci. Nel luglio del 1993 una manifestazione sportiva, rivolta ai bambini e alle bambine, per le vie di Brancaccio in ricordo di Borsellino e della sua scorta, con premiazione alla presenza di familiari dei caduti nella lotta contro la mafia. Altre iniziative ancora: la nostra lettera al Presidente della Repubblica per denunciare lo stato di abbandono del quartiere da parte delle istituzioni con conseguente controllo della polizia sull’attività del Consiglio di Quartiere in relazione alle richieste di ordine sociale del nostro comitato. In seguito ad un nostro incontro con il Sindaco nel febbraio del 1993 vi è stato l’intervento dei vigili del NOPA che hanno tolto l’uso dei magazzini della via Hazon 18, in condizioni di estremo degrado, agli abusivi che lì svolgevano, sotto gli occhi di tutti, attività illecite. L’interrogazione parlamentare al governo regionale dei primi di giugno del 1993 che sollecitò una ispezione sulla politica degli alloggi di proprietà del Comune di Palermo, 200 e forse più a Brancaccio. Il contatto di padre Puglisi con la Commissione Antimafia, nell’agosto del 1993, per preparare l’incontro riservato con il Presidente Violante per sollecitargli la realizzazione della scuola media, del distretto socio-sanitario di base e denunciare lo stato di abbandono del quartiere da parte delle istituzioni. Una serie di iniziative, che dimostravano un impegno quotidiano, sotto gli occhi di tutti, di persone capaci di non cedere ai corteggiamenti politici che avrebbero creato spaccature tra gli abitanti e pertanto un indebolimento del nostro tipo di impegno. I cittadini di Brancaccio sentivano il bisogno di affrontare dentro una casa senza steccati problemi sociali, come il degrado urbano della nostra periferia e la mafia, che offendono la dignità di tutti e quindi hanno bisogno della partecipazione di tutti.

Le iniziative intraprese hanno avvicinato padre Puglisi e il suo Comitato Intercondominiale sempre più alla gente del quartiere e gradualmente si incrementava la richiesta di partecipazione alle attività sociali e parrocchiali. Ciò ha infastidito non poco l’ambiente politico-mafioso di Brancaccio che vedeva affermare nel suo territorio modelli di cittadino e di prete capaci di lavorare in perfetta armonia.

Padre Puglisi, un prete che ha svolto la sua missione con coerenza, un servo di Dio che si sforzò di condurre anche il mafioso a riconoscersi nella fede cristiana e non in quella proclamata dalla mafia che ha travisato il messaggio cristiano. Essere fedeli a Cristo per padre Puglisi ha significato credere nella giustizia, essere contro ogni forma di violenza. Per la chiesa di padre Puglisi, aperta alla redenzione di chiunque, essere fedeli a Cristo ha significato soprattutto non essere contro l’uomo. Pertanto tentare il recupero spirituale della persona mafiosa o intrisa di cultura mafiosa lo sentiva un suo dovere. Ecco perchè non amava essere definito "prete antimafia". Egli amava scendere tra la sua gente, cercava di capirne i bisogni, tentava di risolverli. A noi ci invitava alla preghiera perchè, sosteneva, con l’aiuto di essa potevamo trovare la forza e la volontà di continuare nel nostro impegno civile. Una forza ed una volontà che ci hanno reso capaci di instaurare rapporti cordiali e collaborazione fra la gente della borgata; di avere incontri con le Autorità cittadine; organizzare petizioni ed assemblee; di affrontare e condurre fino in fondo i difficili problemi di vivibilità che mano a mano si presentavano nella nostra zona. Tutto ciò ha fatto della parrocchia di padre Puglisi il centro delle speranze di tanta gente che chiedeva un avvenire migliore lì a Brancaccio.

Con l’omicidio di padre Puglisi non finisce l’impegno del Comitato Intercondominiale. Ho curato personalmente una memoria nella quale ho ricostruito la storia di padre Puglisi e del nostro gruppo dal 1990 al 1993 e l’ho messa in rete internet all’indirizzo www.angelfire.com/journal/puglisi ; Siamo stati testimoni nei dibattimenti processuali nei quali abbiamo contribuito a ricostruire nei particolari gli eventi e l’ambiente in cui è maturato l’omicidio del sacerdote. Il prossimo 23 ottobre ci costituiremo "parte civile" contro i fratelli Graviano, i boss mafiosi di Brancaccio, e i loro killer perche` il 29 giugno del 1993, due mesi e mezzo prima dell’omicidio di padre Puglisi, hanno dato fuoco alle porte delle abitazioni di tre componenti del nostro comitato (Romano, Guida, Martinez) per intimidirci ed indurci a porre termine al nostro impegno civile svolto con la collaborazione del nostro parroco. Ci sembra il modo piu` giusto e coerente da parte nostra di ricordare padre Puglisi. Bisogna continuare per quella stessa strada che insieme al nostro parroco abbiamo percorso se vogliamo sperare di liberare la nostra societa` dalla mafia e dai politici corrotti. Quella mentalita` abbastanza diffusa in Sicilia che porta a credere che con la mafia purtroppo bisogna convivere non puo` essere accettata, noi non l’abbiamo accettata. Con la nostra azione abbiamo tracciato un confine a Brancaccio. Abbiamo fatto capire in modo chiaro da che parte noi eravamo schierati: dalla parte della legalita` e della giustizia, e al mafioso che ostenta la sua presenza in chiesa, con la nostra testimonianza di vita gli abbiamo detto che siamo dalla parte di quel Cristo che per noi si e` fatto uccidere e non ha ucciso. Noi siamo stati intimiditi e padre Puglisi muore perche` soli, mentre agli occhi degli abitanti di Brancaccio cominciavano ad affermarsi nuovi modelli di condomini, lavoratori, genitori, parrocchiani, gente semplice disposta ad impegnarsi per la difesa della propria dignita` e dei propri diritti. Con questo modo di operare e collaborare gradualmente stava formandosi a Brancaccio una nuova coscienza. Oggi la mafia continua, come ieri, a fare paura e la corruzione e` ancora forte. Se e` vero che in quei tre anni a Brancaccio quell’esperienza stava consentendo di raccogliere dei buoni frutti (altrimenti sarebbe incomprensibile la violenta reazione che vi e` stata), perche` la societa` civile, la classe politica, la Cultura e la Chiesa non operano per fare si che non sia dimenticata questa esperienza di contrasto alla mafia ? Una esperienza che nasce spontaneamente da gente comune e da un prete non comune, che va compresa veramente fino a diventare patrimonio delle coscienze dei nostri giovani e della societa` tutta.

C’e` tanto da fare. Padre Puglisi si e` esposto per salvare le nostre vite e noi non possiamo permetterci di pensare di convivere con la mafia. Nel suo nome continueremo a testimoniare che la mafia e la corruzione possono essere sconfitte e noi ne siamo stati testimoni. Ma non possiamo essere in pochi a pensare ed operare in questo modo !