Estratto della memoria di Pino Martinez "Noi a Brancaccio"

Un gruppo di abitanti del quartiere Brancaccio, nei primi mesi del 1990 decise di impegnarsi per tentare di rendere vivibile l'ambiente in cui viveva, ridotto in condizioni di marginalità da una classe politica che aveva preferito abdicare al suo ruolo istituzionale, lasciando in questo modo il campo libero a uomini senza scrupoli. Questo gruppo di cittadini, libero da vincoli di appartenenza partitica e aperto a tutti coloro che volevano impegnarsi per migliorare la vita sociale del quartiere, quando cominciò ad operare scelse di chiamarsi Comitato Intercondominiale della via Hazon e delle vie limitrofe. Con questo nome si voleva fare comprendere agli organi istituzionali e agli stessi abitanti del quartiere che l'impegno era portato avanti da gente del luogo che in prima persona e sulla propria pelle subiva le conseguenze del degrado e dell'abbandono politico del territorio. Questi stessi cittadini alcuni mesi più tardi vollero conoscere il parroco di San Gaetano. Ci presentammo: piacere Romano, Guida, Martinez..........; piacere padre Puglisi....... Da quel momento molto spesso siamo stati insieme con questo prete che con il suo esempio e la stima che ci dimostrava ci trasmetteva la forza e la gioia di lottare per tentare di costruire un avvenire migliore lì a Brancaccio. 


Era stata una giornata intensa. Quasi certamente mia moglie era stata impegnata al Centro di Accoglienza "Padre Nostro" a seguire con suor Carolina e altri volontari i bambini a rischio del quartiere. Io, padre Puglisi, Romano, Guida, Casesa, Mariella Mazzola e padre Gregorio nella tarda mattinata avevamo incontrato a Palazzo delle Aquile il vice Commissario straordinario dott. Mattei (a quel tempo il Comune di Palermo era commissariato) per chiedere ancora una volta, dopo l'ennesima crisi della giunta, di prendere in considerazione le nostre richieste di servizi necessari per la collettività di Brancaccio. Ricordo che la discussione non fu proprio serena perché di fronte a quanto noi chiedevamo ancora una volta per il quartiere, il nostro interlocutore frapponeva delle difficoltà. Una sua proposta ci fece reagire con disappunto: in uno dei tanti locali non in uso e abbandonati della delegazione di quartiere gli chiedemmo di realizzare un'attività sociale, non ricordo con precisione quale, forse la palestra. Il Vice Commissario ci rispose che era possibile assegnarcelo, però noi dovevamo farci carico di alcune spese. In pratica noi rendevamo un servizio alla società senza nulla chiedere in cambio in un quartiere dimenticato dalle istituzioni; volevamo metterci a disposizione per coprire le manchevolezze dell'amministrazione comunale, e ci sentivamo rispondere che dovevamo per giunta pagare di tasca nostra. Questo atteggiamento fece diventare rosso in faccia padre Puglisi che interrompendo la mia reazione rispose al Dott. Mattei che era inutile continuare a discutere perché eravamo su due livelli diversi di intendere i problemi della società. Io e mia moglie quella sera mentre cenavamo non volevamo farci prendere dalle tensioni delle quali eravamo preda in quel periodo per via di alcune intimidazioni mafiose che avevamo subito noi del comitato, Tony Lipari un giovane dell'azione cattolica e negli ultimi tempi padre Puglisi al quale tagliarono una ruota della sua macchina ed inoltre fu aggredito subendo una evidente ferita al labbro inferiore. Lì in cucina, insieme ai nostri figli e mia nipote, quella sera eravamo sereni quando intorno alle nove e trenta squillò il telefono. Era suor Carolina che piangendo mi disse: "Pino é morto padre Puglisi". "Ma che stai dicendo" le risposi io, "ma se fino alle due siamo stati insieme e stava bene". "L'hanno trovato in una pozza di sangue davanti al portone di casa sua e ora si trova al Buccheri-La Ferla" riprese suor Carolina. Capii che padre Puglisi, il mio amico e Padre Spirituale, il sacerdote con il quale avevo condiviso tante situazioni difficili sorte in seguito al nostro impegno civile nel quartiere, era stato ucciso. Anche mia moglie che mi aveva visto impallidire al telefono capì che quella storia cominciata agli inizi del 1990 da un gruppo di cittadini e continuata con il sostegno concreto del parroco in quel momento aveva avuto un epilogo tragico. Immediatamente ci premurammo a lasciare i nostri figli e mia nipote alla famiglia del piano di sopra con la quale eravamo in rapporti amichevoli, e andammo all'ospedale dove ebbi l'opportunità di entrare. Insieme a suor Carolina aprimmo la porta della stanza dove vi era il corpo di padre Puglisi disteso in una lettiga e coperto sino a tutto il petto. Aveva la testa leggermente reclinata verso il lato destro ed era evidente il colpo di pistola alla nuca sotto l'orecchio sinistro. Questa ultima immagine non la potrò mai scordare e tante volte il mio pensiero si é fermato in quell'attimo in cui i killer si avvicinano a lui per ucciderlo. Ci eravamo detti alcuni giorni prima che sapevamo di correre dei pericoli, ma eravamo disposti ad accettare anche il rischio di morire per una giusta causa come la nostra. Ogni volta che penso a quel colpo di pistola che lo fa stramazzare a terra la mia dimensione umana si ribella, un sussulto prende il mio corpo, la rabbia diventa padrona di me perché non riesco ad accettare l'idea che una persona dedita all'amore per il prossimo possa fare una simile fine per un delirio di onnipotenza che prende certi esseri umani. 


Cosa ha spinto Cilluffo a legarsi all'Assessore Inzerillo? Tanta gente in questa nostra città si é legata ad un politico, magari solo per cercare la scorciatoia per tentare di risolvere i problemi familiari, non curandosi del livello morale di chi si presta. Prima che qualcuno ponesse il problema di coscienza su questi comportamenti, purtroppo era abbastanza diffuso il pensare: "le cose vanno così e non c'è niente da fare". Di questo fatalismo é stata preda la grande maggioranza della generazione dei nostri padri . Cilluffo appartiene a questo genere di persone? Risponde certamente ai canoni del presidente di circoscrizione voluto da chi ha bisogno di una persona da manovrare mentre agisce nell'ombra. E' uno che conosce abbastanza bene l'ambiente di Brancaccio ed é a sua volta conosciuto. La sua ambizione a diventare qualcuno in politica lo porta a schierarsi con Vincenzo Inzerillo. Anche pubblicamente, lo si può notare da qualche articolo del Giornale di Sicilia, fino alla morte di padre Puglisi, Cilluffo ha scelto di non condividere l'agire del Comitato Intercondominiale, un gruppo non gradito all'Assessore. Il giudizio nostro e del parroco di S. Gaetano nei confronti del Presidente e dei suoi Consiglieri di quartiere era negativo. Li giudicavamo non sufficientemente operosi in un territorio carico di gravissimi problemi sociali ed avevamo la sensazione che ogni scelta politica di Cilluffo e dei consiglieri della sua corrente, non veniva decisa in assoluta autonomia.


Come riferito prima, nella notte di S. Pietro del 1993, tra le ore una e le due, io, Romano e Guida, tutti e tre componenti del Comitato Intercondominiale, subimmo un atto intimidatorio di chiaro stampo mafioso. Fu dato fuoco con la benzina allo zerbino posto davanti l'ingresso di casa facendo si che le porte fossero avvolte dalle fiamme. Intorno alle due di quella notte mentre io e la mia famiglia dormivamo profondamente, sentii squillare il telefono. Era Peppino Guida che a quell'ora con voce apparentemente normale mi diceva: "come va, tutto bene?". Gli risposi: "e tu mi telefoni alle due di notte per dirmi se tutto va bene, cosa é successo Peppino". Mi disse: "hanno dato fuoco alla porta di casa di Mario e alla mia, sono certo che anche a te hanno fatto lo stesso trattamento vai a controllare e fammi sapere". Mi alzai dal letto e appena misi piede nel corridoio sentii puzza di benzina. Mi resi conto che anche a me avevano bruciato la porta di casa. Difatti aprendo con molta accortezza, vidi la porta d'ingresso bruciata; a terra lo zerbino era completamente accartocciato dalle fiamme oramai spente; più in lì vi era una bottiglia di plastica da due litri e il tappo poco distante non sembrava toccato dal fuoco. I muri del pianerottolo, la porta del vicino e dei due ascensori erano completamente anneriti dal fumo.


Cari amici, da poco meno di un anno sono parroco della Parrocchia San Gaetano-Maria SS. del Divino Amore a Brancaccio e, a questo proposito, vorrei comunicarvi le mie gioie e le mie tristezze, le mie preoccupazioni e le mie speranze. Vorrei rendervi partecipi dei miei progetti e coinvolgervi nella loro attuazione; vi chiedo scusa per la mia indiscrezione: ho fiducia nella vostra benevolenza ed amicizia. C'é nella parrocchia un buon fermento di persone impegnate in un cammino di fede e, contemporaneamente, in un servizio liturgico, catechistico o caritativo, ma i bisogni della popolazione (8000 abitanti) sono molto maggiori delle risorse che abbiamo. Vi sono nell'ambiente molte famiglie povere (per fare un esempio: una famiglia con 9 bambini vive in una "casa" di una sola stanza umida e buia); anziani malati e soli (uno, alcuni mesi fa, é stato trovato morto dopo tre giorni); parecchi handicappati mentali e/o fisici; ragazzi e giovani disorientati, senza valori veri, senza un senso della vita; tanti fanciulli e bambini quasi abbandonati a se stessi, che, evadendo l'obbligo scolastico sono preda della strada, ove imparano devianza e violenza (scippi, furti più o meno piccoli e, forse, miniprostituzione. Che cosa fare per venire incontro a tante necessità? Assieme ad alcuni membri della comunità parrocchiale, abbiamo pensato ad un Centro polivalente di accoglienza e di servizio, per la cui gestione abbiamo invitato delle suore: le "Sorelle dei poveri di Santa Caterina da Siena"; la loro risposta é stata positiva: le suore verranno in tre o quattro. E i locali? Una casa (piano terra con giardinetto e primo piano) sita a pochi passi dalla chiesa parrocchiale é in vendita: decidiamo di comprarla; il Cardinale Pappalardo ci dà 30 milioni occorrenti per il compromesso, che stipuliamo il 16/7 c.a. con l'impegno di versare gli altri 260 milioni entro la fine di gennaio del '92, quando dovrà essere perfezionato l'atto di compra-vendita. Non vi nascondo che ho una qualche preoccupazione al riguardo, ma essa viene dissipata da una grande speranza e fiducia nella Provvidenza, che si manifesta per mezzo di tanti amici, di voi che so sensibili alla solidarietà ed alla generosità. Infatti già alcuni hanno fatto pervenire la loro generosa offerta secondo le proprie possibilità siamo così a quota 30 milioni (ancora 230). Potreste fare anche voi qualcosa a favore di questo "Centro di accoglienza Padre Nostro" (così lo chiameremo)? Sono sicuro che la vostra sensibilità e generosità sappiano darvi suggerimenti per un'azione concreta perché il progetto si realizzi. A nome mio e della comunità vi ringrazio sentitamente; vi saluto con fraterno affetto ed amicizia. Palermo, 4 ottobre 1991 P. Pino Puglisi 


Quando fu chiaro che la Confraternita non si sarebbe formata secondo le aspettative del cosiddetto comitato delle feste, sarà stata una coincidenza, ma avvenne che i partecipanti settimanalmente cominciarono a diminuire sino al punto che all'ultima riunione si presentarono in tre o quattro da circa un quindici, venti che eravamo. Forse un segnale ? Siamo ormai non lontani dal giorno dell'omicidio di padre Puglisi. Gente come noi é estranea alla maniera di comunicare e quindi di comprendere i messaggi di un certo mondo che ha un suo modo di vivere, delle sue tradizioni, delle sue regole, un suo credo, in sostanza una sua cultura radicata da più generazioni. Era forse un segnale che dentro quella stanza del Centro d'Accoglienza in quell'ultima riunione non si presentò quasi nessuno? 


Con padre Puglisi, alcuni mesi prima dell'inizio della stagione delle intimidazioni, avevamo pensato di organizzare per il 25 luglio di quello stesso anno, che cadeva di domenica, una manifestazione sportiva comprendente gare di ciclismo e corsa a piedi per i bambini del quartiere dai 7 ai 12 anni. Volevamo in questo modo ricordare Borsellino, Falcone, sua moglie, e gli agenti di scorta trucidati dalla mafia. Volevamo rendere omaggio a queste semplici persone, lì a Brancaccio, facendo leva su un sentimento che nasce con il bambino, l'amore per il gioco; e su un altro sentimento, il più bello e presente in tutti i genitori, l'amore per i figli. Per tentare non di sfidare un ambiente, ma per fare comprendere che chi si alimenta dei valori per cui quegli uomini sono morti, può camminare nel quartiere a testa alta e sentirsi orgoglioso. Nel ricordo di questi nostri caduti abbiamo voluto realizzare una occasione per proporre in un territorio socialmente malato nuovi modelli di vita. I preparativi di questa manifestazione furono messi in atto con il grande sacrificio dei componenti del Comitato Intercondominiale e di padre Puglisi che per evitarci ulteriori atti di violenza, considerato che nel frattempo avevamo subito le intimidazioni, ci manifestò la sua disponibilità ad intestare alla parrocchia l'organizzazione della manifestazione alla quale decidemmo, su suggerimento del nostro parroco, di dare il titolo, "Brancaccio per la vita". Quando giunse il giorno delle gare ci venne in aiuto il grande entusiasmo dei giovani della parrocchia. Insieme ci impegnammo per dare un segnale forte al quartiere per tentare di avvicinarci sempre di più specialmente ai bambini a rischio e alle loro famiglie. Non era facile, anche perché per la prima volta veniva organizzata a Brancaccio, da gente del luogo, una manifestazione della durata di un intero pomeriggio fino alle ore 21 circa, nel ricordo dei caduti nella lotta contro la mafia. Quel giorno fu grande festa per tutti i bambini e le bambine che parteciparono alle gare. Erano in tanti a correre a piedi e in bicicletta per la via Salvatore Benfratello, via Hazon, fino al Centro d'Accoglienza "Padre Nostro". Padre Puglisi, seduto nel muretto al limite della strada, osservava soddisfatto quei ragazzini gioiosi. Una giornalista lo volle intervistare e subito dopo il nostro parroco venne tra noi contento per dare il via alla gara di corsa a piedi delle femminucce. La sera le premiazioni si svolsero nell'auditorium della delegazione di quartiere affollato: coppe per i primi e medaglie per tutti. I premi, i bambini con accanto i loro genitori li ricevettero da Rita Borsellino, dai genitori dell'agente Agostino e da Rino Martinez che fu il conduttore di quella splendida serata che fece provare tanta gioia a padre Puglisi, a noi del Comitato Intercondominiale e ai giovani della parrocchia che ci avevano aiutato in questa impresa. Tra una premiazione e l'altra la signora Schiera mi chiese di leggere al pubblico presente in auditorium una sua testimonianza per ricordare suo figlio, l'agente Agostino ucciso il 5 agosto del 1989 assieme alla moglie Ida Castelluccio e al bambino che lei aspettava. Le toccanti parole scritte in questo foglio fecero commuovere un po' tutti anche me che le stavo leggendo. Queste che seguono sono parole partorite dal dolore di una madre che ancora oggi chiede nelle varie occasioni e ricorrenze, insieme al marito, l'uomo dalla barba lunga e bianca, giustizia per suo figlio: 

Vorrei come mamma cominciare questa mia testimonianza ricordando con poche, semplici, sicuramente insufficienti parole, il mio dolore, il mio sgomento, il mio orrore per questa strage. Vorrei rendervi partecipe di come mi sono sentita nel vedere i miei cari uccisi davanti i miei occhi, a terra in un lago di sangue. Quel figlio che avevo concepito, cullato, cresciuto, amato. Vedere la sua giovane sposa a terra che cercava di avvicinarsi al suo Nino per morire accanto a lui. Come si può dimenticare che Nino e Ida hanno avuto stroncato sul nascere quelle dolci speranze di diventare genitori, di vedere il proprio figlio, di crescerlo e amarlo, e chissà se fosse stato un maschio sarebbe sicuramente stato leale e coraggioso come il suo papà, che avrebbe potuto dare tanto all'Italia del domani. Oppure, se fosse stata una bambina sarebbe diventata una coraggiosa e combattente donna siciliana che avrebbe contribuito assieme alle altre donne a una Sicilia migliore. Come familiare di vittima vorrei precisare che la morte non colpisce soltanto le persone uccise, ma tutta la loro famiglia perché da quel momento in poi la vita diventa un incubo. Questa gente non ha nulla sulla coscienza, solo le vittime che loro hanno materialmente ucciso, ma anche le persone care, le mogli e i figli, i genitori, i fratelli, le sorelle che subiscono questa violenza inaspettata seguita da un profondo senso di impotenza. Mio figlio come tutte le altre vittime della mafia ha sacrificato la sua giovane vita e quella della moglie per servire lo Stato, e allo Stato io chiedo giustizia. I miei cari sono forse morti inutilmente? Non possono ferirmi ancora, ed é per questo motivo che finché avrò un filo di vita continuerò a lottare, andrò dovunque a protestare e a gridare il mio dolore di madre, perché quando mi vedranno "tutti dovranno pensare, ecco la mamma dell'Agente Agostino Antonino, aspetta ancora che sia fatta giustizia". Questa manifestazione la riproponemmo con successo un anno dopo, ma padre Puglisi colui che aveva tanto voluto questo giorno di festa per i bambini del quartiere non c'era più. Era questa una delle tante iniziative che ci permettevano di vivere in mezzo a quei bambini e alle loro famiglie, e che hanno portato loro ad avere fiducia nel nostro parroco, nei giovani della parrocchia, nelle suore del Centro d'Accoglienza "Padre Nostro" e nelle persone del Comitato Intercondominiale.


Se volessero, se potessero, se si sentissero liberi di parlare, specialmente quelli che nel quartiere ci sono nati o ci vivono da molti anni, chissà quante cose potrebbero raccontare sulle gravi vicende di Brancaccio. Hannu campatu cent'anni in paci, ma centinaia di morti ammazzati, di lupare bianche, di negozi dati a fuoco hanno scandito la vita del quartiere. Hannu campatu cent'anni in paci ma nella paura, e sono in tanti. Questi potrebbero aiutare ad interpretare il silenzio di un quartiere che ti gela l'anima ancora prima di un certo giorno fatale per qualcuno. A spiegare che quando una persona "rompe" e viene definita in giro con frasi ingiuriose vuol dire che si deve aspettare qualcosa di grave. Che quando ti dicono "i panni sporchi si lavano in famiglia", ti stanno facendo capire che nell'ambiente non sei gradito per come stai agendo. Queste persone potrebbero raccontare quanto si diceva a Brancaccio poco prima del 15 settembre 1993 magari nel chiuso di una stanza e a voce bassa perché i muri "unn'hannu aricchi e sentinu". Ho vissuto per cinque anni in quell'ambiente in maniera molto intensa gli avvenimenti di questa storia. Il mio impegno con il Comitato Intercondominiale e il centro d'accoglienza di padre Puglisi mi ha portato a frequentare il Consiglio di quartiere, molto frequentemente la parrocchia di San Gaetano. Mi sono confrontato con il tabaccaio, il panettiere, il fotografo. Mi sono intrattenuto fino a tarda sera con le persone del mio condominio e con altre dei condomini vicini. Sono entrato nelle case di alcune famiglie povere e di quelle con componenti che avevano problemi con la giustizia. Mi sono soffermato a parlare con donne e anziani del quartiere. Da alcuni di loro, per il rispetto che avevano per le persone del Comitato Intercondominiale, mi sono sentito consigliare con tono sinceramente preoccupato di "lasciare perdere e di pensare alla famiglia". Rapporti, contatti quotidiani e non casuali o nati in occasione di qualche ricorrenza importante. Difficoltà, sofferenze che noi del Comitato Intercondominiale insieme a padre Puglisi abbiamo condiviso, giornalmente, con la gente della nostra zona. Frequenze che credo mi abbiano aiutato in qualche modo a comprendere le paure, i silenzi, le preoccupazioni e anche la malafede della gente. Se queste percezioni che io ho avuto, grazie alla mia esperienza brancaccese, sono vicine al vero, posso dire che a Brancaccio vi sono persone non necessariamente mafiose, che possono avere avuto sentore che da un momento all'altro, poco prima di quel 15 settembre '93, sarebbe stata posta la parola fine alla vita di un prete? Da quel giorno spesso penso a quel periodo della mia vita trascorsa a Brancaccio e alla tragica morte di padre Puglisi. A volte, anche in maniera ossessionante, mi soffermo a ragionarci sopra per tentare di capire qualcosa con l'aiuto del "senno di poi". E mi sovvengono alcuni fatti che denotano l'insofferenza che montava sia all'esterno che all'interno della parrocchia. 


Io sento di dovere molto a padre Puglisi, penso anche la vita. A lui dedico questa memoria che vuole essere il modo di potere continuare, nonostante non sia più qui con noi, l'opera che insieme abbiamo iniziato tesa al raggiungimento del messaggio cristiano che ci invita alla speranza e al rispetto della dignità dell'uomo, che ci spinge ad operare per l'affermazione di una comunità giusta e legale. Il messaggio lasciatoci da questo prete scomodo, non solo per la mafia, non può e non deve essere distorto.